Albertina trovava divertente il nome che i genitori avevano scelto per lei alla nascita. Grazie a quel nome poteva canzonare suo padre senza peraltro avere timore d’ essere sgridata.
Alberta (corrispettivo femminile di Alberto). Suo padre non negava di avere da sempre desiderato un figlio maschio. Era sufficiente pensare a quel nome per comprenderlo. Alla moglie non importava il sesso del nascituro. Tuttavia, quando il medico durante l’ ecografia le annunciò che aspettava un maschio fu felice. Dopo cinque femmine suo marito avrebbe avuto finalmente soddisfazione. Voleva bene la signora al suo rude marito ma era stanca di sfornare figli; sei dovevano bastare.
A parto avvenuto, grande fu la sorpresa, quando la levatrice consegnò nelle loro amorevoli braccia una bella e paffuta bambina. All’ uomo che non riusciva a concepire “ l’ errore”, altro non rimase, se non modificare il nome che si era abituato a pensare per il nascituro; da Alberto in Albertina.
La bimba come ad avere intuito i desideri paterni crescendo divenne un monellaccio. Il rigore e la compostezza che sua madre da lei esigeva non le appartenevano, questo la spingeva a rifiutare le regole della casa che includevano anche quelle d’ imparare l’ arte del cucito e collaborare con le sorelle nei lavori domestici; prediligendo il dileguare e raggiungere il padre in campagna. La sua condotta era motivo di discussione. La mamma lamentava di lei con il papà, mentre lui malgrado non fosse dello stesso avviso, per buona pace, indossata la maschera del padre burbero a sua volta rimproverava Albertina, che impaziente di andare a giocare scrollava le spalle e lasciava dire.
Albertina era una ragazzina dalla capigliatura bruna, ricca di ricci naturalmente indisciplinati. Aveva la carnagione ambrata: gli occhi da cerbiatto e labbra generose nel dispensare sorrisi. Era briosa e piena di vita e non la potevi fermare quando fiondava con la bicicletta verso la chiesa campestre per raggiungere gli appezzamenti di terreno del papà.
Spesso e volentieri anche le sorelle la sgridavano: « Albertina non comportarti come una selvaggia, e non ridere in modo sguaiato». D’ altro canto, lei che non comprendeva il perché le sorelle se la tirassero a quel modo, privandosi così, di tutto lo spasso: « ridere è ridere» rispondeva, e lei sapeva farlo di gusto, alle facce loro.
« Vecchie zitelle acide». Brontolava tra sé e sé; la bocca impegnata a fare smorfie e linguacce. Albertina non sempre reggeva i loro rimproveri e per dare libero sfogo al suo nervosismo si divertiva a fare dispetti. Un giorno con le forbicine gli aveva tagliuzzato le calze velate. Le sorelle infuriate l’ avevano rincorsa poi per tutta casa, sicure che fosse lei l’ artefice “ dell’ orrendo” disastro. Un altro giorno aveva rimosso i ferretti dai loro reggiseno. Il papà spinto dalla mamma che pensava fossero andati persi durante il lavaggio in lavatrice, si vide costretto a smontare il filtro. Tutto questo sotto gli occhi attenti e un poco colpevoli di Albertina, che si era guardata bene dall’ addossarsene la colpa e confessare di averli buttati nella spazzatura.
Albertina metteva a dura prova la pazienza di tutti.
Una volta rientrò da una delle sue scorribande in campagna, con le tasche dei pantaloni piene di piccole raganelle verdi. Quel giorno in casa ci fu un grande trambusto, le raganelle le sfuggirono dalle tasche e finirono per saltellare per tutta la cucina provocando una reazione a dir poco esagerata da parte delle sorelle che si misero anche loro a saltare e urlare come galline inseguite da una poiana.
La ragazzina dovette faticare non poco per recuperare le raganelle e liberarle poi in giardino.
Il martedì come di consueto Albertina si recava al cimitero con la mamma, che per tempo le raccomandava: « Comportati bene e soprattutto non toccare i fiori».
La solita tiritera divenuta consuetudine. “Insomma, non era più una bambina”! Andava volentieri a trovare i nonni, “ ma quante storie per i fiori”! Trovava ingiusto vedere loculi colmi di fiori come al mercatino del sabato e altri tristi e spogli. Per amore di giustizia, senza dimenticare di fare il segno della croce, aveva preso l’ abitudine di rubare un fiore qua, uno là e ripartirli come secondo lei aveva ragione d’ essere. Quel giorno andava tranquilla con sua madre, quando nel diritto e lungo viale incrociarono un uomo e una donna. L’ uomo nell’ indicare alla compagna la chioma riccioluta di Albertina la sbeffeggiò imitando il verso della capra. « beee!». Impulsiva qual era, Albertina non ci pensò due volte, e dita sulla fronte “ a mo’ di corna”, a sua volta lo apostrofò imitando il verso del toro: « muuu!». Il toro ehm … no, l’ infelice fu strattonato in malo modo dalla compagna e non si azzardò a ribattere. Albertina fu invece rimproverata dalla mamma, la quale, mortificata, non faceva altro che ripetere: « Che vergogna, che vergogna!». La ragazzina provò a puntare i piedi e discolparsi ma non ottenne soddisfazione. Al contrario, poiché perseverava nel voler dire la sua, si ritrovò a dovere incassare da parte della mamma un sonoro ceffone. Eppure Albertina non era cattiva, era uno spirito libero. E gli spiriti liberi non li puoi ingabbiare. « Non è giusto!» lamentava tra sé e sé, mano alla guancia.
Albertina era ingenua e impaziente di crescere.
Trascorsero alcuni anni. La ragazzina sbocciava. Pur avendo dei corteggiatori, restì a e con modi bruschi li allontanava. Guardava le sorelle come esempio di bellezza. Lei che sotto la scorza celava un animo sensibile, non ravvisandosi bella, di loro era invidiosa. Albertina era ancora un’ adolescente piatta come la tavola che la mamma utilizzava per mettere a essiccare i pomodori e lontana da occhi indiscreti, si guardava furtivamente proprio lì; intristendosi nello scorgere due cosine appena accennate. Avendo letto su una rivista che per tonificare il seno poteva ricorrere a un rimedio casalingo, decise di provare. Più volte il giorno, per più giorni, prese a poggiare sul petto la borsa del ghiaccio ma ahimè! alla lunga altro non ottenne, se non procurarsi una brutta bronchite.
Le sorelle che sognavano, di essere delle casalinghe e fuggire dalla vita di paese, una alla volta si sposarono e andarono a vivere in città. Albertina aveva altri progetti. Lei che amava la libertà e l’ aria aperta non avrebbe tollerato che qualcuno la confinasse in una città caotica e fumosa. Lei sentiva di fare parte della grande pianura verde: delle distese di campi coltivati che raccontano di gente sana e laboriosa, di quelli incolti che riservano ancora meraviglie da scoprire. Albertina come una farfalla sentiva il bisogno di posare lo sguardo sui petali di un fiore. Di specchiarsi nella rugiada del mattino. Di muovere in piena libertà e fare un bagno di sole. Di ascoltare la voce del vento fra i pioppi. Il profumo del pane per le vie del paese. Di perdersi, se ne aveva voglia, in un cielo azzurro. Di fare una scorpacciata di more, anche se sapeva che poi avrebbe sofferto per il male alla pancia. Di accettare come faceva la mamma con lei, le bizzarrie e i capricci del tempo; sapendo che la pazienza e l’ amore a tutto possono porre rimedio. Andare con il padre a fare il giro delle proprietà aveva accresciuto in lei l’ amore per la vita di campagna. Adorava il profumo della terra bagnata, mettersi alla guida del trattore, essere parte attiva (da metà aprile fino a tutto maggio), nel trapianto delle giovani piantine di pomodoro e vederle crescere sane e rigogliose fino alla maturazione del frutto. Nel periodo di raccolta, tra agosto e settembre si lavorava sotto il sole rovente, ma lei non desisteva. Ci furono periodi di prosperità. Altri in cui le difficoltà si fecero sentire. Albertina avrebbe voluto sperimentare nuove colture, ma suo padre aveva la scorza dura del tradizionalista e lei non aveva voce in capitolo. Nel tentativo di farsi valere riuscì ad ammorbidire la resistenza dei genitori e ottenere il benestare per iscriversi a un istituto per la formazione di perito agrario. Si diplomò con il massimo dei voti.
Intanto era cresciuta e con l’ impegno e non pochi sacrifici era riuscita a guadagnarsi la fiducia e il rispetto di suo padre. Ora era una splendida e giovane donna che cooperava proficuamente per l’ azienda di famiglia, la quale, grazie alla sua tenacia primeggiava nella coltivazione dell’ asparago.
Suo padre che era un uomo di poche parole, la guardava con orgoglio e pensava di avere ancora un desiderio. Accompagnare Albertina all’ altare. Lei non aveva un fidanzato ma c’ era tempo. La ragazza era giovane, d’ indole forte. In gamba come nessuna non si sarebbe certo accontentata di uno qualunque. E, quasi sicuramente un giorno … gli avrebbe fatto dono di un bel nipote maschio.