Molto spesso, nel dialogo quotidiano, si sente contrapporre la ragione al sentimento, si interpreta l’una come l’antitesi dell’altra, come se dove trionfa l’una fosse assente l’altro o viceversa.
Questa impostazione è talmente radicata da apparire quasi scontata, inequivocabile, un dato certo da cui non ci si può sottrarre.
Personalmente sono di tutt’altro avviso, secondo la significanza che attribuisco ai vocaboli ragione e sentimento osservo, più che non contraddizione, una grande affinità e mi sembra che certe interpretazioni siano frutto di un malinteso di fondo sulla parola ragione e forse, seppure in modo più velato, anche su quella sentimento.
Penso che con il termine ragione si debba intendere la capacità di analizzare coerentemente i fatti, la capacità di trarre, partendo da elementi accettati, tutto un insieme di conseguenze necessarie ed inequivocabili.
Mi sembra invece che nell’antitesi predetta il termine ragione venga inteso con valenza ben diversa, come opportunismo, senso di adattamento alle circostanze del reale, abilità nel destreggiarsi fra i meandri della vita, una valenza quindi ben diversa da ciò che autenticamente significa il termine ragione.
Anche quando si parla di sentimento sembra ci si riferisca ad un magma incandescente privo di "ragioni", ad un’inestricabile giungla tropicale dove ogni cosa sfugge alla comprensione ed al comando, e certamente un’osservazione superficiale dei fatti e degli atteggiamenti può dare più di una conferma a questa irriflessiva impressione, ma, come la psico analisi ha dimostrato e cerca di dimostrare, alle spalle di tanti guazzabugli emotivi vi sono tante ragioni e, probabilmente, se esistesse la possibilità di toccare il fondo del fondo troveremmo solo ed esclusivamente ragioni e l’intima ragione delle ragioni.
Uno può risultarci immediatamente simpatico od antipatico, lo sentiamo in modo automatico, dopo un rapidissimo esame del suo aspetto e dei suoi modi esteriori, eppure, se andiamo a scavare in noi stessi, troveremmo, senza ombra di dubbio, le mille e più ragioni per cui quella persona ci suscita tale sentimento, un ragionevole sentimento quindi, come molto ragionevoli sono tutti i sentimenti, almeno così io credo.
Anche l’atto più inconsulto ha sicuramente nel fondo la sua interiore ragione, i problemi cominciano quando quest’atto scaturisce da una "ragione" storica e cieca, da una ragione non ragionata.
Non esistono tante ragioni, la ragione è una ed una soltanto, la ragione è un processo analitico che, partendo da alcuni presupposti universalmente accettati, procede in modo logico e risolvendo ogni incoerenza e contraddizione.
Può esserci una ragione limitata, una ragione cioè che, originandosi da un contesto di necessarietà, agisce senza sciogliersi da quel contesto, omettendo il prima e il dopo, e, limitatamente a quel solo contesto, opera in modo del tutto razionale, senza curarsi se quello stesso contesto è, in un’ottica più estesa ed universale, incomprensibile ed assurdo.
Quando, in particolari situazioni dolorose, si dice "farsi una ragione", si invita in realtà a non ragionare, od a ragionare in maniera parziale e limitata, onde evitare di scontrarsi insanabilmente con le proprie ragioni più autentiche e profonde; è questa un’espressione della ragione come viene intesa nel dialogo quotidiano, una ragione di opportunismo, di adattamento alle incongruenze del reale; la vera ragione, l’unica vera ragione, fa molta fatica ad integrarsi col reale, in quanto, per sua natura, tende all’assoluto; per questo motivo si invita a "farsi una ragione", non certo la ragione, ma una ragione qualsiasi che, partendo da un presupposto di comodo, consente di scansare la "vera ragione", di evitare l’autocritica e la necessità di superarsi.
Viviamo in un’epoca in cui non è facile ragionare, in cui ragionare corrisponde a porsi fuori del mondo e da tutti i contesti sociali, ma se essere nel mondo significa andare contro sé stessi forse, per la persona etica, la persona che non vuole solo passare sopra ma anche cercare un senso a tutto il suo agire, conviene sta fuori del mondo a costo anche di grandi solitudini e sofferenze, il piacere di potersi guardare allo specchio senza provare ribrezzo per la propria immagine vale senz’altro molto di più di un piatto, grigio, quieto conformismo.
Viviamo in un’epoca poco propensa a guardare sia indietro che avanti, che si è costruita tutte le sue verità su dei presupposti inconsistenti, quando non, addirittura, su delle insostenibili menzogne, presupposti che, anche la più tenera delle analisi critiche, farebbe franare con poco sforzo. un’epoca che regge la sua valenza sul nulla, ma tanta è la paura di questo nulla e della fatica della ricostruzione che nessuno sembra voler dare il colpo di piccone perché tutto si digreghi.
In un’epoca come la nostra la ragione non può che essere rivoluzionaria, drastica, radicale, non co sono basi per possibili, sopportabili mediazioni, troppo è lontana la contingenza dala ragione e dalla verità.
A dare consistenza a questa ragione inespressa non resta che il grido del sentimento, che si muove traversalmente e confusamente in ogni stratificazione della realtà, una forza travolgente che scarica la sua energia con forme sempre più estrose, bizzarre, distruttive, ma che, fin quando non riuscirà ad orientarsi su strade di chiara introspezione, non potrà che rigirarsi su sé stessa aumentando il disorientamento generale, senza portare a nessuna prospettiva di vera umanità.
Ogni sentimento é il "farsi una ragione", quando la ragione viene preclusa dalla realtà, a forza di farci ragioni precarie, fittizie, incomplete, ci allontaniamo sempre di più dall’unica vera ragione, l’unica vera ragione che, se abbiamo il coraggio di guardare nel fondo più fondo del nostro sentimento, è alla base del nostro soffrire e del nostro gioire.
Un moto di gioia o di raccapriccio accompagna l’incontro di un volto o di un luogo, qual’è la ragione che sta a fondamento di questo violento sentimento?