Se vent’ anni fa qualcuno mi avesse chiesto se in Venelandia sarebbe stato possibile che i cittadini si odiassero tra loro -vicini, amici, colleghi, persino membri della stessa famiglia-, la mia risposta sarebbe stata quella frase familiare, usata per allontanare l’ improbabile:
« Non vale, io non ci credo!»
Oggi, quella negazione ha il sapore della sconfitta.
La realtà l’ ha distrutta.
I. IL SEME DEL RISENTIMENTO
L’ odio non è nato dall’ oggi al domani.
Si è sviluppato lentamente, come un bambino che cresce in un grembo oscuro. Prima l’ ovulo del risentimento, poi il seme velenoso della retorica incendiaria. Insieme hanno formato la creatura che presto avrebbe dominato il Paese: la divisione.
Il “ incantatore di serpenti” si è imposto su ogni schermo televisivo con trasmissioni interminabili.
Ogni giorno, una dose di veleno calibrata.
E come ogni messia autoproclamato, ha attirato seguaci anche dall’ estero: accademici affascinati dalla “ rivoluzione”, artisti innamorati dell’ ideologia rossa, opportunisti sedotti dal potere incontrollato.
La scena era grottesca:
una miscela di devoti poveri, pseudo- intellettuali, poeti da opuscolo e cortigiane siliconate -tutti a cantare lo stesso mantra:
« Alleluia, alleluia, viva il Supremo Comandante!»
Intanto, il leader rideva raccontando favole assurde e storie improbabili, seducendo le masse.
Tesseva una ragnatela appiccicosa che intrappolava fedeli e scettici.
II. RISCRIVERE I SIMBOLI, CANCELLARE LA MEMORIA
Il culto si rafforzò quando iniziarono le manipolazioni dei simboli nazionali:
-« Voglio che Simó n assomigli a me. Fatelo con tratti afro- indigeni!»-
-« Girate il cavallo all’ incontrario. Aggiungete una stella in più. Perché lo dico io.»-
Con quella frase, l’ istituzionalità crollò.
L’ arbitrarietà divenne la nuova regola.
Seguì l’ inevitabile:
espropri, persecuzione della classe produttiva, demonizzazione di professionisti e imprenditori.
Il nemico perfetto era stato creato: chi non applaudiva era un traditore.
La meritocrazia divenne una parola proibita.
III. LA CULTURA DEL BONUS: L’ ILLUSIONE DEL “ GRATIS”
Poi arrivarono i bonus governativi, caduti come briciole dal cielo.
Molti abbracciarono una mentalità pericolosa:
-« Perché studiare o lavorare? Il mio comandante mi dà il bonus.»-
Il Paese smise di produrre e iniziò a sopravvivere.
L’ orgoglio per il proprio mestiere evaporò: i fornai abbandonarono i forni, le segretarie lasciarono gli uffici, i tecnici rinunciarono a specializzazioni e master.
Nacque una generazione che non lavorava:
ozio sovvenzionato, risentimento premiato.
L’ illusione della “ rivoluzione dei furti” aveva fatto il suo dovere.
IV. QUANDO IL LEADER MUORE, SI SCATENA L’ INFERNO
La morte del comandante non portò sollievo; scatenò il caos.
-« Padre nostro che sei all’ inferno…» - mormoravano alcuni oppositori.
Ma nessuno immaginava cosa sarebbe successo.
Gli eredi del potere mostrarono il loro vero volto.
La corruzione divenne palese.
Il lusso diventò oltraggioso.
I vasi marci del regime esplosero uno dopo l’ altro.
La scarsità divenne routine.
Le file infinite, uno sport nazionale.
Gli insulti, la colonna sonora del Paese.
-« Sporco traditore!»-
-« Muori, sporco oppositore!»-
Fratelli contro fratelli, cugine che si graffiavano, nonne che scomunicavano i nipoti.
Una nazione spezzata, che litigava per farina, burro e uova.
Nel frattempo, madri oppositrici piangevano i figli uccisi dalle forze del regime, e numerose famiglie salutavano i propri cari al confine:
« Che la vita ti sia più gentile altrove, figlio mio.»
Quartieri vuoti.
Case invase.
Collettivi festanti:
-« Che se ne vadano i traditori! Un oppositore in meno! Prendiamoci le loro case!»-
V. PROPAGANDA: LA FABBRICA DELL’ ODIO
Dietro le quinte, la macchina lavorava senza sosta:
-« Domani pubblicate ovunque:
che Concha tradisce il marito,
che Pitufo è gay,
che l’ opposizione collabora con i nemici.
Sporcate reputazioni. Calunniate. Dividete.»-
Approvato e timbrato.
Applausi.
Martelli che battono.
Altro veleno per le masse.
VI. EPPURE… CI STUPIAMO ANCORA
Anni dopo, Luigi mi chiese di nuovo:
-« Ma tu davvero credi che un Paese possa odiarsi così?»-
La risposta uscì automaticamente:
« Non vale… io non ci credo.»
Ma questa volta, la frase non negava la realtà.
Era un fragile tentativo di aggrapparsi a un filo di speranza in un Paese che - tra manipolazione, fame, paura e risentimento - ha imparato ad odiarsi con precisione devastante.
Eppure, finché ci sarà qualcuno disposto a raccontare la storia - con memoria, ironia e dolore -, rimane un sottile filo di speranza che, un giorno, questo odio possa trovare finalmente pace.