Come il mare,
l’ultimo abbraccio di settembre,
come gli scogli
e le loro voci,
come le ali
di chi non vola,
come le parole
di chi non parla.
Sarà stato un passaggio
onirico del tempo,
un’estate chiusa
in una clessidra
con la sabbia portata
tra le mani quando c’era
luna piena.
Sarà stato un silenzio
di barche appollaiate
lungo la spiaggia
e di conchiglie
dimenticate sulla schiena
della riva.
Sarà stato bello
non averti conosciuto
se non in un pensiero
di sorrisi,
solo di sorrisi.
Come il mare,
l’ultimo abbraccio dei gabbiani
e delle luci che gli chalet
spengono, dove lungomare
si fa bagnare
dalla pioggia, un nuovo battesimo. |
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Mi chiedo di te... e poi di me,
mi chiedo della nostra pelle bianca
e mi chiedo del ghiaccio
che ha scolpito i tuoi sospiri,
i tuoi occhi, i tuoi muscoli,
e poi mi chiedo di me...
Della mia insicura anima
che trema solo all’immagine
della tua voce, e trema
abbracciata al ghiaccio
che ha disegnato il tuo corpo.
- Mi chiedo di te... e poi di me -
Mi chiedo delle mie parole
che non dirò – a te – mai
le pronuncerò, silenti pitture
per memorizzare la tua gentilezza,
una dolcezza presto fantasma,
per catturare un ricordo
che incatena il sole alle nuvole
ed infine dietro alle catene
che la pioggia lega in corde
d’acqua e ferro per la terra.
Dimenticheremo presto
un sogno nemmeno vissuto,
dimenticheremo presto
uno dell’altra la luce
e riporremo nel nostro baule
solo il buio.
Mi chiedo di te...
Chissà cosa la neve
mi ha tracciato sulla pupilla,
cosa mi avesse donato
nella culla, lei madrina
che dubita del giorno
e di ciò che si manifesta senza paura.
Mi chiedo di me,
cosa il ghiaccio
patrigno di muschi
e di una luna pura e fredda,
il gelo che pulsa lento
come l’apnea, l’infarto
delle sinapsi, un azzurro piatto
come nella piscina la sua fedele
leggera acqua, cosa avesse mai
delineato su ogni angolo
pensiero o corpo,
- il tuo corpo -.
E il ghiaccio nelle viscere,
in un inferno di paranoie a rogo
e di paralisi mascherate in incanto,
si svela tra le stoffe, assenza
presenza tra le sigarette non fumate.
E la neve si scioglie
in un battesimo di fiori:
il paradiso che si sveglia
tra lacrime e cristalli. |
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Come le spine,
che mi fai indossare,
ad ogni tuo bacio freddo
e lontano, caldo e insopportabile.
Come le margherite
senza gambe, sradicate,
silenzi che si sposano
fanciulli, come la lama
che il vento stringe in mano.
La lama che la pioggia
percorre sulla schiena.
E chiudi il pugno,
non è che polvere
la terra dove petali
spezzati cambiano
da bianco fiocco
in rossa cenere.
È sangue dalle formiche
evitato.
Il delitto di pronunciare le tue bugie,
il delirio di udire il tuo mai detto contagio,
il peccato di credere ai tuoi occhi,
il sorriso di credersi innamorati,
l’ascolto della tua voce
lì dove finiscono i tuoi muscoli.
Dove acqua mi immerge,
inonda le palafitte dei miei istinti,
il riparo dalle onde,
finché il canto muto
non arrivi, il rumore
delle tue gambe che corrono
e delle tue braccia
che ad ogni pugno
lascia le sue impronte.
Figlio di dèe del mare...
È sangue...
E le formiche, sacerdotesse
della tana dove la terra
si nasconde, nella tomba
dei ratti,
lì mi proteggono. |
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E hai dei capelli le streghe,
e delle voci dei lupi gli occhi,
e il sorriso di chi non regala nulla al fato.
E mi stringo alla neve delle montagne,
come pizzo il merletto sul capo,
e un abito di saio per svestirmi del sole
e annullarmi dove la luna si ingrandisce.
E hai le lacrime di tutte le donne
goccia dopo goccia, come sudore e perle,
alla schiena tatuate,
per dimenticarle tutte,
per ricordarne ognuna.
E hai le mani del vento, che ricamano
tra le tue dita, la tua pelle e le tue ciglia,
e le rocce ti donano lo smalto dell’inverno.
E hai dal pensiero, piccolo come il granello
nell’universo, un’ossessione
che ingravida i sospiri
e che colpisce il cielo.
E mi dono a un lutto bianco...
Immobile dove il bosco non mi parla:
mi tiene a sé, di soppiatto, come le luci
meschine della notte.
E rimango qua...
A guardarti da lontano,
come il volto dell’orizzonte
tra i corpi del mare e del celeste
che ha l’aria sulla cupola invisibile
del rammarico. |
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Sparisci,
occhio verde del cielo.
Gli alberi danzano di notte,
tra gli spettri delle donne
che ti abbracciano.
Ed io non parlo,
ed io non ti tendo
mano né dito,
non voglio la tua pelle
- ti cerco –
Non voglio i tuoi fiori
- ti sogno. -
Sparisci,
come il vento
tra le sue voci,
come l’acqua
sotto i piedi.
Gli alberi si flettono,
sinuosi come imponenti damigelle
vestite d’oro, adorne di ogni rossetto.
I loro teschi balbettano sorrisi.
E le margherite, sulla schiena, essiccate
divengono vertebre, squame, muschio,
mi imbrattano di terra,
di piccole gialle radici,
zampe fili e ragni,
dove il buio ti accarezza.
Dove i suoi lucidi crani
rotoleranno, nella rete,
che poi raccoglierò, poi
senza farmi vedere,
senza che respiro,
il mio, ti raggiunga.
Ti vedo.
Ed io non mi avvicino,
mi sei lontano,
non ti cerco,
sento il tuo odore,
ti spio,
come il corpo piccolo
gracile del malato timo,
scricchiolo. |
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Perché la neve
si trucca il viso di rosso,
come luna in eclissi
si bacia lo specchio
al cielo la pioggia.
E le stelle cadono in frammenti
bianche e di vetro,
come i brillanti sulle gote
infiammate tra i boschi
- le tue foreste –
tra le lenzuola e le comete
- il tuo letto -.
Sei solo un pensiero,
un sogno che mi ustiona,
e mi porta via... la crisalide
che si rifiuta di spaccare il bozzolo.
Perché la neve
non sorride, cancellandosi
come la scia, il ghiaccio
tra i seni dei giardini
tra i cancelli.
E tu, dove tenda
nasconde finestra,
sembianza d’uomo
in attesa, incompleta bozza
che ricerca le tracce delle volpi
in inverno,
e tu, al colletto
la camicia stretta,
la giacca non stirata,
sorriso che percorre la guancia
come uno squarcio su di una tela
alla cornice sequestrata,
e tu mi guardi...
e tu mi respiri...
tra l’umida aria
taci. |
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| Come l’albina notte
i tuoi occhi,
di ghiaccio potrebbero d’imbarazzo
accendere le stelle rosse
come gli occhi della sera e del tramonto,
come le ali che l’aurora
richiude, indietro, sulla schiena dei gabbiani.
-Scappai-
Come l’ombra al suo segugio,
-Scappasti-
Come il freddo che si smaschera dal gelo.
-Ti ho cercata-
Cuore che nel seno impazza.
-Ti ho cercata-
Singhiozzo e sorriso,
come rossi i capelli del fuoco.
Perché le lucertole del cielo
segnano ghirigori celtici,
e suoni di bocche che assottigliano il vento,
voci immacolate di seta bianca e nera,
voci che sanno baciare il collo
di cui la semplicità esplode.
Mi donasti pizzo per non riflettere,
specchio che d’adagio bisbiglia,
ridonami mano d’angelo
con le dita del diavolo candido,
-intoccabile candore come la tua pelle
e brucia, e prende, e rimane, e cicatrizza
i polsi-.
Pizzo, di cenere, dal vergine al grigio,
mi nascosi, come l’angolo che si veste di buio,
come l’inverno che congela le dolcezze nella gola,
e sfuggo, abbasso le palpebre e non la guardia,
e fuggo, proteggendomi con le ciglia sul viso.
Ma perché hai il colore della neve?
Che arde sulle guance,
come il bacio della salsedine
che schiaffeggia la brezza.
Ma perché hai il colore dei sogni da bambina?
Che ulula come le foglie dei gelsi,
degli abeti e dei colli,
come le ossa, e le falangi,
come le clavicole che sostengono le bufere,
come la linea della tua voce... |
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E mi avvolgi di cicatrici
e di walzer con gli abiti di neri tulle,
e mi accarezzi e mi dilati le pupille.
E mi conti gli occhi,
e raccogli i suoni
che dalla bocca la voce
incanta e ammalia,
ammanta e quasi diventa sacra.
E mi bracchi tra le mani
la testa, e picchi il tuo profumo
lungo la schiena come il respiro
che ha il ghiaccio durante il sonno
delle volpi tra la neve e i colli.
E mi agguanti e mi tramortisci,
e mi uccidi...
sogno che il sangue non ha il vento,
e rispondo si,
e mi baci la luce sulla pelle,
lunare come la tua,
aliena come l’amnesia.
E sulle punte l’aria
danzerà nella gola
degli innamorati rancori
tra malinconie annoiate
e la voce non più ti parlerà
di me,
se non ombra che d’acquerello
sfiorerà le foglie scure
nel tuo cortile, dove l’anima
si assopisce tra i veleni
e gli incantesimi, che la notte
porta per rubare i pensieri
e nasconderli, su, nel cielo
divenendo stelle, meteore,
corpi che inseguono,
infine, la Terra. |
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Falene di neve,
luce invasa, notte
e ombra, tra le braccia
come bimba,
occhi rossi.
Ti prego, non cantare.
Moriranno sciolte tutte le foglie,
le corde alle mani, diventeranno acciaio
verso dita che come Dafne
diverranno rami.
Scarabei d’ambra,
occhi –li cerco-, alba
chiusa tra gli spigoli dei cuscini,
come i no troppe volte detti,
i si muti.
Ti prego, non cantare.
Perderanno tutti i colori
e le maschere non avranno più cera,
deformate, i volti;
sarai più veloce di Apollo?
A passo di lucertola,
si sdraiano le lumache del vento,
potresti rubarlo, potresti corromperle,
e sarai d’aria travestito.
Ti prego, non cantare.
Madre Terra, non ti troverà,
e di lei, ninfa in ascolto,
il corpo in acacia, alloro imprigionato,
potrai toccarlo.
Ti prego, non baciarlo. |
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| E tra i tuoi capelli i rami del sole,
e i tuoi baci, come morsi
che gli ululati dei morfeici ghirigori
lasciano ai respiri tra i lacci e le ragnatele,
tra la neve e le slitte,
ed io sono caduto –a pezzi-
per amore nel tuo seno.
E ti ho abbracciato,
assaporato ogni tuo odore,
catturato un bacio dopo l’altro,
preso dalle memorie delle nostre sorti,
come lenzuola bianche che si tingono,
di noi.
-Trattenevi, muta-
Sapevi già ogni mia voce,
sottile come una parola,
o movimento di un mio pensiero
-E d’ambra gli occhi-
Sapevi già che mi amavi,
così come i segreti
che il sentimento frena
dentro, tra le sottane del petto.
Ti ho colpito... cosparso del tuo sangue
il candore che il gelo ricopre nel freddo.
Ti ho inseguito come il cacciatore
promette al buio, e ti ho di una freccia
il mio trionfo donato ferite.
E solo all’alba, la luce ridona ad ogni forma la sua esistenza,
ed il mio urlo fu spezzato dal soffio delle nuvole,
vederti, -muta-,
-e d’ambra gli occhi-,
raccolsi così, come al perdono,
dalle ginocchia, il ghiaccio rosso del tuo amore. |
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Dici di avere il fuoco tra i capelli...
Come un velo di nozze tra le candele,
e le ombre del travertino.
L'età è un'ala smozzata
tra l'aria e il soffio dell'atomo
tra il suono assente dei profumi e musica,
dell'inchiostro nero, come stendardi
e voci che ti costringono
a spegnere luci.
I bambini, vogliono giocare,
vogliono baci,
vogliono le loro madri.
E l'uomo chiede alla donna
di non procurargli mai l'immortalità,
ma di stringergli solo la mano
di terra e sale.
Una costola rubata al sole,
per poter creare la luna. |
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