In falso inverno cominciò una fiaba:
era l’inizio della primavera.
Venne dal pelo maculato eroso,
nuda la carne e una malferma zampa,
tra la neve mendicando un osso
il gatto e qui trovò ristoro.
I tuoi attenti atti e un amorevol tetto
a ritrovar le forze e la speranza
di vita migliore e senza stenti
lo portaron. Or ti guarda felice
e ti sorride alla carezza attento. |
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Da mesi sai che t’aspettava o corazzato amico
or che chiuso l’inverno il tepor de la prima
primavera nuovo risveglio a te ha poi portato
sì or del piatto il tintinnio ancor risuona lì
quando la sera tarda alla notte il passo cede
che da quello di dolce pomo sottil fette sottili
lì da man le sue amiche poste traendo coi tuoi
dentini aguzzi rumor crei spegnendo la rinnovata
fame, poi furbescamente aspetti il suo venire,
gli occhietti vispi e quel tipico tuo musino son lì
pare le par per ringraziare che di lei non hai
paura che alla maniera tua non ti rinchiudi a riccio
o riccio, un attimo un istante sol sì la guardi poi
per ratto ratto velocemente sparire nel giardino. |
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Pensoso solitario mentre io solo seduto sto
sopra un paracarro lungo il rotto ciglio lì
una strada assolata sterrata di campagna
nel verde intenso di una risaia lì ritta tu pur
te ne stai sola senza compagnia sola soletta
bianca garzetta dalle sottili lunghe zampe gialle
il collo io alzo al cielo tu nell’acqua cali il tuo
estranei l’uno all’altra ognun coi suoi pensieri
per l'animo io cerco il nutrimento tu al viver tuo
lontan poi si sente il suon velato di una campana
mi sveglio io dal torpore mio e con stanchezza tanta
con eleganza tu ti libri in maestoso volo a me della terra
il sapor dal vento smossa dell’aere a te più in alto la dolcezza. |
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Fermo ritto immoto là nella risaia
verde un airone cinerino, fisso io
fermo curvo su un paracarro al ciglio
di una strada, quello le larghe ali stese
poi lentamente pigro quasi prende il volo
quali che siano i suoi pensieri con lui
volando stanno, mi alzo io barcollo
a terra cado gravato dagli affanni miei. |
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Cerco invano dalla finestra semichiusa
che guarda sul giardino quasi brullo
dall'autunno in parte già spogliato
dagli ultimi colori e che all'inverno
vicino ormai si offre triste e nudo
la tua presenza amico pettirosso:
da giorni è già trascorso il tempo
l'ora sperata a me cara negli anni
familiare e attesa dell'arrivo tuo!
Guardo e ascolto degli altri uccelli il canto
passeri, merli, gazze e le colombe
che tutto l'anno sento dai vari suoni
il cinguettare ma quel tuo canto
melodioso e a Chopin caro non è più qui
malinconico mi sento nel non sentire quel richiamo.
Per anni ricordi ci siamo fatta compagnia
quattro mesi circa di giornate fredde
buie anche nevose, rarità lo splendere del sole
nell'ultima dell'anno la stagione
che porta al cuore e alla mente di chi
ha già percorso della vita anni su anni
molti ricordi e i tanti sogni sognati
poi svaniti e legati a quella passata
e assai lontana nel tempo giovinezza.
Giungevi all'improvviso e all'improvviso
poi partivi poi all'ultimo marzo
te ne sei andato e da quel giorno
lontano sei da qui la tua presenza persa
e oggi così mi sento ancor più solo.
Il cinguettio tuo che tra i tanti più degli altri
percepivo segno era che stavi lì vicino
nascosto dietro quel cespuglio spoglio
poi in silenzio io ti osservavo e tu con rapida
ma circospetta corsa sull'esili zampette
qual fili sottili sottilissimi di rosso colorati
come il piccolo petto che gentil ti dona il nome
quel caro canto ad un tratto interrompevi
e a beccar lesto correvi quelle solo per te
povere briciole dalla man lasciate in quel posto
ad altri ignoto e che tu solo conoscevi:
l'umile e parca mensa non molto di più offriva
tu lo sapevi ma non ti lamentavi: una beccata
e ti guardavi attorno al pericolo possibile guardingo
poi riprendevi e talvolta il bel capino sollevavi
e mi guardavi ed io ti rispondevo e questo era
per me conforto ai miei pensieri d'infelicità pieni
e così in quegli istanti e quella tua presenza
rottasi un poco l'infelicità mia felice sorridevo
ora quelle briciole un tempo a te regalo beccano
facendosi la guerra passeri merli gazze e le colombe
e l'infelicità rimane rotta solo da un rapido singhiozzo. |
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Piangono i bambini quel lor gattino
cui morbo crudel di atroci dolor
forier la buona morte impose
così un tempo Mirò la cicala sua
il grillo e l'usignol del verde bosco
alla vita tolti per dell'Ade il buio
quando lacrime infantil cadono
all’iniquo dipartir dei lor trastulli
tristezza sempre il cuor pervade. |
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Regnan oggi la brina e il gelo
una bacca cerca il pettirosso
l’oscillar lento d’una brocca
poi lieto d’ali un legger frullio
e nell’aria di gaiezza un canto. |
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Aspra selvaggia Alicudi isola eoliana
nata da lotte aspre tra fuoco terra mare
nei lontani secoli passati l'offesa grave
di macchine motori d'asfalto strade viali
ancor oggi non patisce rigata solo
quali arterie e vene per il viver dell'uomo
da ripidi sentieri ostiche dure mulattiere.
Così alle navi e barche dal mare
lì giunte e lì ferme ed ancorate
indifferente tu guardi, il basto vuoto,
fermo presso la marina mulo paziente
nell'attesa presto di riprendere l'ascesa
verso le alte lontane pendici del vulcano.
Dura questa sarà e di più il fardello tuo
grave da portar lassù il passo attento
vigile lo sguardo, non già i profumi vari
non i colori tanti di assenzi bianchi gialle
ginestre eriche rossicce agavi in fiore
che quel sentier sfiorano, infida petraia,
sotto il cocente sole sollievo saran alla fatica sua.
Così con quel tuo ritmato cadenzato andare
quel trasportar pesanti carichi diversi
e i venir e i riandar dell'Isola il cuore fai pulsare
ossigenandone e irrorandone i tortuosi vasi:
non so se un giorno ti faranno un monumento
qual ricordo nel tempo di te imperituro qui
dove oggi tu stai paziente al pal legato
linfa vital che vita qui non muoia e viva sia. |
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Cadde sul ciglio della strada
il topolino colpì poi piede
crudele, agonizzante pietosa
man con cura la tua raccolse
indi tra fiori profumati pose
che a lui fosser gentil bara. |
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Stanco s’alzava il mattino il vecchio
pigro poi lentamente scendeva le scale
di lui in attesa nello stanzin la gatta
e di quel ghiotto boccone se ne stava,
mangiava la gatta e poi gli sorrideva
e del vecchio il viso si rasserenava
e quel suo stanco sentir s’allontanava.
Già semisonnolenta la sera era la gatta
sul divano stava allor seduto il vecchio
oh quante tante volte prima di dormire
al comando alle ginocchia sue s’accucciava
poi spariva in attesa del sonno e del mattino.
Morì la gatta, vennero poi sere vennero mattini
la stanchezza rimase niente più salti alle ginocchia
or quel vecchio solitario solo di ricordi vive. |
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Trovò la mamma un giorno ormai lontano
nel giardino di casa un nero puntolin caudato
solo spaurito abbandonato il debol miagolare
venne poi il bambino e pose una ciotola di latte
da allora Virgola nera micina trovò una casa.
Crebbe negli anni il bambino crebbe la gattina
quindici anni di gioia di fusa di carezze e di sorrisi
ieri tutto finì la nera parca si prese quell’amica
in pianto forte è oggi il bambino diventato adulto. |
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Più non gioca il vecchierello con la sua
gattona, morbo crudel spense quel sorriso
quel correr lesto alla ciotola il mattino
quel ripetuto gesto alla buonanotte
vuota la stanza vuoto quel cestino
deserto il sasso là in fondo nel giardino
dove al sol d’estate sonnecchiando stava
libero quel cantuccio riparo dalla pioggia
dalla neve nel volger dei mutamenti vari
del tempo dei mesi e dello scorrere degli anni.
Il vecchio guarda ricorda rivede e forte piange. |
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Questa bella micina dal pelo ner
lucente non ama degli altri gatti
miei la compagnia e in disparte
sen sta tutta solitaria non salta
non gioca e di malavoglia mangia
no non è malata e nel guardarla
bene negli occhi attentamente
sento che un poco m’assomiglia
anch’io star spesso solo amo
senza compagnia coi mie pensieri
lontano dalla gente ma il mio mal
io ben conosco e forse pur tu amica
solitaria sei preda forte della malinconia
così le dico piano mentre l’accarezzo. |
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Milù una cara mia gattina
dal pelo nerorosso tartaruga
par oggi pensierosa tanto
gli occhi tristi in quel assorto
sguardo e invano d’indovinar
io cerco quei pensier suoi
celati, la guardo l’accarezzo
e a lei dico: se fosser neri
come i miei lo sono buona
facciamoci amica compagnia
prima o poi son certo, non
credi?, muteranno di colore
la coda scuote e par dirmi
perché ne sei così tanto sicuro? |
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Venne un dì al vespero nel giardin
fiorito una micina dal bel tigrato pelo
piccola randagia e la tua mano
al forte digiun suo offrì amica buon
ristoro poi per molte sere ancora
nell’incertezza del venir suo o men
in ansiose e lunghe spesso attese
sì compi questo amorevol del man
tua gesto poi quel dì tra un cespuglio
di peonie fissa decise per sempre
di restare e dai quei fiori il nome
prese suo or felice in casa lieta
vispa fa dolce e cara compagnia |
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Gioca Briscola una mia gattina
dal bel pel grigio tigrato folto
e con lei nell’aria danza di carta
un ricciol frustro lì per terra perso
da una stracciata lettera d’amore
salta quello le sfugge lo rincorre
e poi tanti tanti balzi lì ancora
sorrido all’innocente gioco suo
e mi spoglio dei miei pensieri tristi
che quel frammento forte mi portava |
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