Le rive e i boschi
Mughettose, festanti e ridenti le sponde del Ticino,
querce secolari e castagni d’odorosi folti boschi:
mazzolini fioriti e cesti di porcini dal profumo intenso
a Milano offriva un tempo M. simpatico omarino
alle Porte Ticinese e Lodovica e in Piazza Duomo.
L'acqua corrente
L’azzurr’onda sfiorava con fruscio dolce i bianchi
sassi e arsi cotti dal sole un tempo G. e i suoi fratelli
lunghi forconi agitavan svelti nell’acqua dai barcè
e i levigati bianchi ciottoli, di grezzi massi figli
l’affannosa e sobbalzante corsa fermati qui finivan
da rebbi acuti rugginosi imprigionati, ammonticchiati
poi e infin portati in fornaci ardenti di vetrerie lontane
a quei, i sassaioli miei, pan davano e sostentamento.
L'acqua semicorrente
G e M. sua sorella per il dimesso e strano aspetto,
poveri vestiti miseri stracci più volte rattoppati,
si diceva e si credeva avessero malefiche malie
per ognun meglio evitarli non incontrarli in strada.
Così costretti da questa malvagia diceria odiosa
a percorrer solitari solitarie del paese strade la vita
tutta, giorno per giorno, fuor che nell’inverno
dall’alba presta fino a sera tarda e senza sosta
curvi e piegati doloranti lungo i cigli piumosi
di rami secondari del Ticino tagliavan di netto
con l’acqua sino alle ginocchia, ah povere ossa,
teneri giunchi e ne facevan poi solide fascine.
La terraferma
Da lor per poche lire un certo L. quelle prendeva,
mani esperte rapide le sue e veloci ed ecco cesti,
cestini, fiaschi impagliati e damigiane varie di foggia
di vesti intrecciate rivestite e alquanto alquanto belle,
centri, centrini, sporte e rustici ma ornati sottovasi:
parte la migliore a del vetro botteghe parte ancor
alle osterie ed ad un floricoltore grasso del paese,
il resto infine la minuteria la vendeva G. la moglie
sua col suo banchetto al mattino di sabato al mercato. | 
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Dopo anni torno a riveder questo luogo amato
dove dall’alto dalla costa tra i verdi boschi
felice tu scorgevi l’ansa del Ticino, del leccio
i profumi del castagno delle felci dei mughetti
nel vento respiravi forte e da giù sentivi venir
della lodola il canto lieto il gorgheggio dei merli
dei fringuelli prolungato dei tordi dei ravarini
il cinguettio ch’a quei faceva poi eco in lontananza
quello ripetuto e ritmato cucù cucù cucù del cuculo:
struggente il ricordo la nostalgia pur tanto forte.
Tutto cambiato qui intorno e in parte cancellato
non più lì il vecchio castagno dal maestoso fusto
che sul ciglio della strada qual sentinella guardia
faceva alle campagne quel tempo andato di mio nonno
quelle campagne dai filari lunghi e nell’autunno
di macchie ricche di grappoli dai colori intensi accesi
ai quali i ciliegi lì presso davan loro amica compagnia
e a metà giugno poi avanzandoli con vellutati dolci
rubin frutti in quella nelle stagion correnti tavolozza
cangiante di colori, non più la stradina polverosa
che quelle divideva percorsa spesso di corsa
con la bicicletta ch’allora accompagnava
quella mia perduta come l’amato luogo giovinezza. | 
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Del querceto di quel tempo antico mio
solitaria or te ne stai tu maestosa pianta
dall'ostil ascia ch'abbatte risparmiata,
non più sorelle allor tante che or ti faccian
tenera amica compagnia come nei dì lontani
degli infantil poveri nostri giochi di fanciulli
a chi più ghiande le grandi tra noi a gara
da la grandinata lì caduta sparsa raccattar
sotto dalle verdi verdastre chiome vostre
tra quella infin ricercar poi le tumural galle
quelle poi lanciar ne l’aria in alto allegri
e de le prime cupole cavar barchette per il rio
per minipipe lunghe poi gli acheni fornelletti
trastulli nel tempo nostro poi perduti com’anco
gioventù andò tra noi perduta e dolor non solo
come te pur io solitario rimasto nel prato de la vita
persi i compagni miei tutti dalla falce che a caso
taglia senza guardar sia tenero virgulto o tronco spesso. | 
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Milän via Padua sul canton dla via Arquà
quarantann fa, forsi dapü, l'ääv una sir d'Astääv:
fäävv cold e savi bon no 'd durmì,
darvì la fnäster l'ääv poeu pegg
non tant par i vúss che gnãvän sü
dal bass ad lustarì, ma pr'i sansosoer
che sinfiravän denn a munton che
ta mordavän dapartutt brasc ciapp
coll e garonn parfinn sutt i culsett,
e innür me gnüvv in ment di oltär sir
sir da tant ann fà cant savi un fioeu
a la Mott, sir cold d'Agúst, la lüna piena,
e i sansosoer anca lì a fala da padron
cui lüsirö dalà dal foss dal campagnon,
e par la curt giränn i du cän ad la
me nona e inveci dormen i gain
in dal puleè e là tac a la stall ta senta
al vers ad l'oc e cääl di pavarin,
luntän al par al brusegg di vacc
anca se in propi lì a dü pass da ti.
Sultant su l'aar al scür dla sir
e l'ari tutt inturän in rutt da vùss
e da canson: cantään i donn su l'aar
intant ch'in a dreè a dasfrascää al margon
"Oh campagnola bella e peou la Banda
d'Affori ed i prüvärbi dal Giuaninn
rampega e delle Tre Melarance
cünt chall turlulü final " lü chall
sa cradäävv un grand grand dasù
al se fai mätt un rusc in dal cù"
Pien i scorb ed pien i scurbinn
infin dal margon dasfraccaavv
al segn dla Cruss ed un patär
e nal silensi dla nocc tucc a caa.
Anca lì a Milän lääv ruavv la nocc
sa sentääv parlaa uramai pü insün
silensi e peou silensi e me gnüvv
un po al magon par chäst me
turnà al me turnà indrè in dal temp.
traduzione:
Milano via Padova angolo via Arquà
Più di quarant'anni fa, forse di più:
era una sera afosa non potevo dormire
aprire le finestre peggio ancora
non tanto per le voci portate dal basso
e dall'osteria ma per le zanzare
che dentro a frotte ecco punture
dappertutto braccia chiappe
collo gambe perfino al di sotto dei calzini,
ed ecco un ricordo di quand'ero
bambino a Motta molt'anni addietro:
calde sere d'Agosto, la luna piena
anche allora le zanzare a farla da padrone
con le lucciole aldilà del fosso
del campagnone e per la corte
girano le due cagnoline della nonna
dormono invece le galline
nel pollaio e dalla stalla vicino
senti il verso dell'oca e dei suoi paperini
sembra lontano il muggito delle mucche
anche se stanno proprio li vicino, a due passi.
Soltanto su l'aia lo scuro della sera
e l'aria tutt'attorno sono dolcemente
rotti da voci e da canzoni: cantano
le donne e levan le brattee frasche al granoturco
" Oh campagnola bella e poi la Banda
d'Affori" e poi e la volta dei proverbi
e delle fiabe Giovanni Arrampichino
e la storia delle Tre Melarance
con il suo finale un po' burlesco
" si credeva chissà chi un gran signore
ed è finito con di una castagna il riccio
nel sedere". Ormai di pannocchie
ripieni ceste e poi cestini; della Croce
il segno e una preghiera, poi tutti a casa,
tutti a casa ed in silenzio, anche lì
silenzio non vi era più nessuno
e nel silenzio nel ricordo di quel
tempo andato sono stato preso
fortemente dalla commozione. | 
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Ecco ancor il campo sportivo,
l’emozion forte m’assale,
un tempo la sfera rincorrevan
qui i rossi colorati baldi
pedator de la Mottese mia,
gloria in disarmo in altri spazi
confinata oggi, par dimenticata;
cancellati i vicini verdi prati
quelle campagne dai filari
dritti d’autunno macchie
di grappoli dai colori accesi
ai quali i ciliegi vicine sentinelle
loro facevan grata compagnia
avanzandoli poi a metà giugno
nella tavolozza coi vellutati
dolci oggi sol sognati frutti
da far invidia a quelli di Vignola,
non più quella stradina scossa,
tanto polverosa, che li divideva
percorsa di corsa in bicicletta,
poi dalla costa tra i boschi
felice tu scorgevi del Ticino
l’azzurr'ansa dalle azzurre
acque, non più oggi quei fossi,
le care nei ricordi miei presenti,
le Rungie Cara e Dora qui, in giorni
vari delle stagion dell’anno varie,
le donne con allegri canti facevano
il bucato e qui i ragazzi ridendo,
con destrezza, in tuffi si lanciavano
senza timor ardimentosi arditi,
qui io all’acque chiare loro
affidavo i pensier miei che lontan
in recessi ignoti chissà esse recavan
pensieri oggi diversi fermi qui
in grigi freddi blocchi di cemento. | 
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Sfiora l'azzurr'onda del Ticino
con fruscio i bianchi sassi agitan
i sassaioli lunghi forconi svelti
nell'acqua dagli agili fragili barcè
e i levigati ciottoli frammenti
di un informe masso lassù nel fiume
dal monte rotolato rotto poi
spezzato da salti e lavorio delle acque
dopo tempi e stagioni sconosciute
qui trovan fine all'affannosa corsa
fermati imprigionati da rebbi rugginosi
poi con ulterior fatica a forza a riva
portati in cumuli slanciati alti bianco
lucenti monticelli lì ammassati portati
quale ultimo viaggio da qui molto lontano
in fornaci ardenti di antiche vetrerie
ecco dan vita e forma a familiari oggetti
di scintillante trasparente sottil vetro. | 
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