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Sempre Donne

Biografie e Diari

Uno

Greta tornava a casa ogni giorno alle 13. 45. Trovava la tavola apparecchiata, il piatto fondo era coperto da un piatto piano che quando veniva sollevato rilasciava la sua personale pioggerella: il vapore si era trasformato in acqua. Ogni volta pensava che sarebbe stato un ottimo esperimento di fisica, ma si vergognava di proporlo alla sua prof.

Di fronte al piatto il bicchiere capovolto, la bottiglia d’ acqua e un panino che sua madre aveva tirato fuori dal congelatore, prima di andare al lavoro.

E poi, come ogni giorno, il bigliettino scritto da sua madre: le solite frasi, le solite raccomandazioni, i soliti baci, le solite commissioni: stendi il bucato, metti i piatti nella lavastoviglie, studia e non passare troppe ore davanti al computer.

Mentre la pasta nel piatto si raffreddava completamente, Greta cominciava a pensare a come chiedere a sua madre il permesso di andare alla festa di compleanno organizzata dalla sua amica del cuore, Gioia, per il sabato successivo in una discoteca in centro.

Sua madre non le aveva mai permesso di uscire la sera, diceva che era troppo pericoloso, che i tempi erano cambiati da quando lei era una ragazza e poi era troppo giovane per questo tipo di cose.

Troppo giovane, sedici anni, troppo giovane.

Greta sapeva già cosa avrebbe indossato: la mini in jeans strappata che sua madre le faceva usare solo per andare al mare d’ estate e il top nero senza bratelline: avrebbe lasciato i capelli sciolti e avrebbe indossato le scarpe con il plateau, Gioia aveva promesso di prestargliele, per il trucco ci avrebbe pensato nel bagno della discoteca. L’ unico problema era sua madre, se ci fosse stato suo padre, tutto sarebbe stato diverso, ma i suoi si erano lasciati da tre anni e sua madre aveva ottenuto il suo affidamento.

Suo padre non avrebbe detto di no: si sarebbe informato sul luogo, dove la festa si sarebbe tenuta, su chi avrebbe partecipato, l’ avrebbe accompagnata e sarebbe anche andata a riprenderla: lo sapeva che sarebbe stato così! Se solo non avesse tradito la mamma, non si sarebbe trovata in questo vicolo senza uscita. Se non andava a quella festa, tutti gli amici l’ avrebbero trattata come un’ appestata! Doveva assolutamente inventarsi qualcosa.

Due

- Non posso essere in ritardo anche oggi! Spero che la riunione non sia ancora cominciata … Ti prego Signore, fa che sia caduto dalle scale e si sia slogato una caviglia in modo tale che arrivi zoppicando, ma dopo di me… - Mentre i pensieri di Giulia si affaccendavano in un affollato convoglio della metropolitana fermo in un tunnel per un guasto non meglio identificato, lo squillo del suo cellulare le confermò che le sue preghiere non erano state esaudite.

- Pronto? –

- Giulia? Sono Ale, ma dove sei finita? Il grande capo è incazzato come un toro … -

- Ti prego Ale, sono in metropolitana, la prossima fermata è la mia, c’è stato un guasto … -

- Senti gli ho detto che sei passata in copisteria a ritirare le copie dei verbali, ma se fra dieci minuti non sei qui, io non so più cosa inventarmi … -

- Dieci minuti e sono lì, lo giuro, grazie, Ale sei un’ amica… -

- Si, va bene, ci vediamo tra un po’… -

- Un’ altra brutta giornata, maledizione. Non c’è una volta che io riesca a non farmi richiamare da quello squalo vestito da uomo! –

- In ogni occasione mi fa sentire piccola ed incompetente, sono stufa, stufa marcia … - Giulia sentiva che le lacrime le riempivano gli occhi e fece uno sforzo enorme per trattenerle. Alzò la testa, respirò profondamente e si avviò spingendo verso l’ uscita del vagone.

Tre

Il colpo le arrivò in pieno viso, non appena chiuse la porta di casa dietro di se. Per lo stupore rimase immobile mentre lo zaino con i libri di scuola precipitava in terra. L’ altro ceffone la fece indietreggiare contro l’ appendiabiti.

- Devo restare in piedi, devo restare in piedi, se cado in terra, mi massacra di calci … -

Il pensiero fu più lento dello spintone che la colse impreparata e che la fece cadere bocconi in terra. Gioia si riparò il ventre, sapeva che il calcio sarebbe arrivato, ma non questa volta, suo padre aveva in mano la cintura dei suoi calzoni. Gli occhi fissi su di lei, erano stravolti, non sembrava neppure più suo padre …

E il primo colpo arrivò, sulla schiena, poi un secondo, un terzo, finché Gioia non perse il conto.

- Che cosa ho fatto? – cercava di parlare, ma le parole le morivano in bocca e la schiena le bruciava come il fuoco.

Poi così com’ era cominciata, finì. Lei rimase immobile, mentre sentiva le parole di suo padre:

- Così impari a fumare di nascosto, sei proprio come tua madre, ma tu farai come ti dico! –

Il suo sembrava un delirio, eppure Gioia non lo ricordava così: suo padre era sempre stato un uomo gentile, non riusciva a capire, proprio non ci riusciva.

Dopo un po’, cercando di non far rumore Gioia andò in bagno e lo spettacolo di fronte allo specchio la spiazzò completamente.

- Devo coprire i lividi, il cerone è quasi finito ed il fondotinta non è più sufficiente. Ho male dappertutto. Solo perché avevo le sigarette in borsa. Come faccio con l’ occhio e sabato c’è la mia festa … -

Nonostante gli sforzi per non piangere le lacrime di Gioia avevano vita propria e continuavano a scendere mescolandosi al mascara.

- In due mesi questa è la terza volta che mi pesta! E’ un bastardo, uno sporco bastardo! E domani per farsi perdonare mi porterà qualche regalo … -

- Come vorrei che fossi qui, mamma … come posso fare … tu come facevi? Aiutami ti prego … -

Nel silenzio ovattato della sua stanza Gioia affondò il viso nel cuscino, gridando con quanta voce aveva in corpo.

Quattro

- Quando potrò andare a casa? –

La domanda è arrivata. Sempre quella. Sempre e solo quella, ormai. Nell’ ultimo mese non chiede altro, non vuole altro.

- Dottore, come posso dire a mia madre che ora è questa la sua casa, che la sua vita è cambiata … -

- Signora Lezzi, in realtà, sarebbe stato meglio preparare sua madre al cambiamento, per tempo. Lei comprenderà meglio di me, che ormai la bugia di sottoporla ad esami ha esaurito il suo spazio. –

- Lo so, Dottore, lo so, ma lei rifiutava anche la sola idea di parlare di una casa di riposo, ormai erano mesi che viveva in casa mia ed io non riuscivo più ad accudirla … -

Il senso di sconforto e impotenza avviluppava il cuore di Elena, in una morsa così stretta da toglierle il fiato. In un primo momento l’ idea di nascondere la verità a sua madre era sembrata la soluzione migliore, ma con il passare dei giorni, delle settimane Olga aveva capito e aveva cominciato a fare domande, sempre più insistenti sul suo ritorno a casa, alternando lunghissimi silenzi alla mancata risposta di sua figlia.

- Mi sento una cattiva figlia, Dottore, non so più cosa inventarmi. –

- Se vuole seguire un mio consiglio, le dica la verità, con tatto, cerchi le parole, lei conoscerà sua madre certamente meglio di chiunque altro qui … Ora la saluto signora Lezzi, mi faccia sapere. - Il Dottore lasciò Elena sulla poltroncina in simil pelle con tutto il suo carico di ansie.

- Conoscere mia madre … già dovrei conoscerla! –

Elena si alzò e uscì dallo studio medico, ritrovandosi nel lindo corridoio della casa di cura. Il silenzio era interrotto solo dal chiacchiericcio delle infermiere che entravano e uscivano dalle stanze dei degenti per provare loro la pressione, o assicurarsi che avessero preso le pastiglie prescritte. In tutto il reparto, uno strano odore permeava ogni cosa, copriva quello dei detergenti: l’ odore della vecchiaia …

Da bambina Elena credeva che i genitori vivessero per sempre e quando Mirella, la sua compagna di classe delle elementari, aveva perso il papà in un incidente stradale, si era fatta l’ idea che doveva essere stato un uomo particolarmente cattivo, nonostante fosse un papà.

Crescendo, naturalmente, Elena aveva capito che nessuno è eterno. Ma in cuor suo tendeva a non affrontare mai l’ argomento, neppure da adulta, neppure quando suo padre morì d’ infarto pochi anni prima: continuava a non rapportarsi con la morte, come se questo la potesse proteggere e soprattutto come se il tempo potesse non passare mai.

Cinque

- Viola, svegliati, sono le dieci, tra meno di un quarto d’ ora, ci vengono a prendere … -

- Io non voglio venire, sono stanca, non mi sento bene … - e così dicendo infilò la testa sotto il cuscino.

- Tu sei pazza! – Tuonò Ursula, una moldava di vent’ anni, sua compagna di stanza da diciotto mesi.

- Io non ho voglia di farmi picchiare per colpa tua! Alzati e basta . –

Aveva ragione Ursula, e Viola lo sapeva bene, se non fosse stata pronta quando il cellulare avesse suonato, sarebbe stata una serataccia, per entrambe: botte, botte e ancora botte.

Viola si alzò e il contatto con il freddo pavimento la rese immediatamente lucida: si guardò intorno e lo squallore della stanza la trafisse prima nel cuore e poi negli occhi. Tre anni di quella schifosa vita e ancora non si era abituata

Ricacciò indietro le lacrime e si avviò verso il bagno. Si buttò sotto il getto della doccia, ancor prima che l’ acqua diventasse calda, per concentrare i pensieri sul freddo, solo sul freddo … Strofinò la pelle con più energia del solito fino a quando sentì il corpo bruciare. Si asciugò, e si spalmò di crema idratante, e lasciò bagnati i cortissimi capelli neri. Uscì nuda dal bagno mentre Ursula si stava truccando, e aprì l’ armadio in cerca della tenuta da lavoro: gonna al ginocchio, camicetta bianca e ballerine. In qualsiasi stagione, che facesse freddo o caldo, l’ abbigliamento non cambiava mai. Niente trucco, per i suoi clienti, lei era la ragazza acqua e sapone …

Il cellulare di Ursula vibrò per l’ arrivo di un messaggio. Le stavano aspettando sotto casa. Viola ingoiò la pillola, controllò di avere i profilattici mentre Ursula cercava le chiavi del monolocale. Spensero le luci e chiusero la porta di casa.

Giomiri 02/12/2012 15:37 994

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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