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"Un'altra vita" cap. 13

Amore
Il giorno dopo, invece, Sergio si impose di non andare a casa di suo padre. Non c'era nessun obbligo, da parte sua; e in effetti prima dell'avvento di Irene nelle loro vite, non è che lui da Giovanni passasse sistematicamente tutti i giorni. Era chiaro che, nel caso di necessità immediate, chi si occupava in quel momento dell'anziano si rivolgesse a lui, che abitava e lavorava molto vicino. E lui, dal canto suo, si limitava a fare delle puntate lì abbastanza spesso, ma senza una cadenza precisa. Questa fu la ragione ufficiale che si diede: di non formalizzare in senso assoluto la regola di essere tenuto a passare in quella casa ogni giorno, proprio lui che era sempre stato così refrattario alle regole. Ma, senza consapevolmente formularlo nei propri pensieri, intuiva che aveva bisogno di dimostrare a se stesso che non era così importante per lui vedere Irene. In fondo c'era rimasto male, del senso di freddezza della sera precedente, che non sapeva bene come giudicare. In modo che a lui stesso sembrò quasi infantile, provò quasi un senso di libertà, gli sembrava che quel maggior tempo di cui poteva disporre per sè, per le sue cose, sarebbe stato come un "tempo ritrovato" in cui avrebbe scritto, pensato, magari ripreso corrispondenze in sospeso. Solo più tardi, a notte fatta, si rese conto che quel senso di malinconia che provava forse era una piccola nostalgia, nostalgia del sorriso tranquillo di Irene, dei suoi occhi caldi e sorridenti verso di lui. Dei propri occhi alla ricerca di uno sguardo aperto e accogliente, in quelli di lei. Ogni tanto controllava le chiamate sul cellulare, caso mai non si fosse accorto, non avesse sentito se magari Irene lo avesse chiamato, se si fosse presentato qualche imprevisto.
A maggior ragione il pomeriggio seguente, quando verso le cinque come di consueto si presentò a casa di Giovanni, fu con dispiacere che scoperse che lei non c'era. C'era Elena, l'infermiera, che accortasi della sua sorpresa gli spiegò: - Irene ha il giorno di riposo, è andata via.
Era vero, in quelle prime settimane di rodaggio lavorativo, Irene aveva usufruito di ore di permesso sparse nei vari giorni della settimana. Ora, infine, aveva concordato che il giorno che le spettava era appunto il giovedì, e nel corso di quella giornata si alternavano Augusta e Elena, vicino a Giovanni. Ora che si ricordava, Irene gliene aveva fatto cenno, ma lui chissà perchè si era immaginato che lei, non avendo in realtà, apparentemente almeno, altri posti dove andare, sarebbe stata sempre lì. E invece chissà dov'era andata. Ma già, la comunità dei rumeni in quello come in tutti i paesi circostanti era molto numerosa, Irene certo aveva piacere di rinforzare i legami con i suoi connazionali. Sergio gironzolò un po' per casa, poi salutò Elena e Giovanni, e se ne andò. Optò per una puntata nella cittadina più grande, a una decina di chilometri: da qualche settimana rimandava l'acquisto di un libro che gli interessava di cui aveva letto recensione sul giornale, sarebbe andato in libreria. Ci andò, e intanto che posteggiava, faceva due passi sotto i portici, si soffermava nella bella libreria guardando come sempre con piacere molti volumi, e si comprava finalmente il suo libro, intanto che compiva tutte queste operazioni non mancava di guardarsi intorno, caso mai avesse visto passare Irene. Che bello sarebbe stato un fotogramma di lei in una ambientazione diversa da quella a lui tanto nota... ma non la vide.
Infine, il pomeriggio seguente, fu quasi con un senso di ansia che si presentò a casa di suo padre. Gli sembrava che fosse passato tantissimo tempo dall'ultima volta che aveva visto Irene: gli mancava, gli era mancata, aveva voglia di passare del tempo con lei. Di parlare, di sentire la sua voce, di starle vicino.
Così accadde, ma prima lui aveva colto l'espressione di gioia che aveva illuminato il viso di lei, vedendolo entrare, e se n'era sentito dolcemente riscaldare, dentro. Parlarono, mentre Irene cucinava per suo padre. Alla televisione c'era una sciocca intervista, a un sacerdote, che parlava della semplicità della vita cristiana. Fu quando nominò "le gioie semplici della famiglia", elogiandole, che Sergio cominciò a parlare, quasi come a se stesso. Era sempre stato sensibile a quel tema, non sapeva se perchè da quella semplicità si era sempre sentito così lontano, o perchè la desiderava, e nello stesso tempo la considerava impossibile, uno specchio per le allodole.
"Certo, le gioie della famiglia... come elementi di un certo tipo di gloria, che in fondo non c'è nessuna ragione per cui possa interessare chi ne è escluso. Come se fossero destinate a suscitare invidia, quasi competizione. Proprio la gioia borghese, per definizione".
Irene lo guardava, battendo con una forchetta un uovo nel piatto, con il suo lieve sorriso appena interrogativo; gli parve che anche Giovanni lo ascoltasse, e in fondo ne ebbe piacere.
"Lo dicevi tu, qualche giorno fa, ricordi? Dicevi che sembra impossibile che la bellezza, la grazia che esistono nel mondo, attraverso l'arte, la letteratura, la bellezza della natura, anche quando è regolata dall'uomo per esempio nella creazione di meravigliosi giardini, possano tranquillamente coesistere con egoismo e cattiveria, come accade. Anzi, i detentori di quella stessa bellezza, sono tranquillamente artefici di mostruoso egoismo, mostruosa cattiveria. E' la stessa cosa: le gioie borghesi della famiglia, vengono esibite pubblicamente per avere la patina del buon cittadino, nello stesso momento in cui, nel vivere sociale, si può essere, fare di tutto. Perchè anche la bellezza viene percepita più come qualcosa da possedere, esibire, che da vivere e contemplare"
Irene sistemò il piatto di pasta con l'uovo, fumante e profumato, davanti a Giovanni, e si dispose ad aiutarlo a mangiare, dicendo: "E' vero, spesso sento che la bellezza è ambita, oggetto di conquiste, e poi anche distruzioni. Ma quasi mai intimamente goduta. hai ragione, è lo stesso con quel tipo di gioia, che si dice tanto di desiderare, di cercare. Ma intanto si trascorre la vita frammentandosi in mille scopi materiali, che non hanno niente a che vedere con l'essere davvero in sintonia con la gioia, con gli affetti. Con l'amore".
Sergio le sorrise, quasi commosso da come la sentiva pronta a seguirlo, nei suoi pensieri. Voleva tanto seguire quelli di lei, ma sembrava che fosse più difficile, per lei, raccontarsi. Avvertiva il suo mistero e ne era affascinato, desiderò moltissimo prenderle la mano ma la presenza di Giovanni lo tratteneva. Non poterono continuare a parlare, arrivò ancora Elena, l'infermiera: doveva spiegare a Irene come somministrare nuove medicine all'anziano. Con dispiacere Sergio si allontanò, sentiva che la sua presenza lì veniva colta da quell'intrusa con una sorta di divertito sospetto, e la cosa lo infastidiva molto, non sopportava che altri potessero fare supposizioni intriganti sul rapporto che c'era tra lui e Irene. Che rapporto, che rapporto c'era? non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno lui. Ma sentiva che non era più solo.

Michele Serri 28/09/2013 14:07 837

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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