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"Un'altra vita" cap. 5

Amore

Il giorno dopo, un giovedì, Irene ebbe una giornata movimentata. Al mattino era arrivata Elena, alle 8, come convenuto. Con toni piuttosto aspri aveva redarguito Irene perché secondo lei non aveva sistemato adeguatamente Giovanni per la notte; in realtà i rimproveri di Elena riguardavano particolari piuttosto insignificanti, perché le medicine erano state somministrate in modo corretto, e Giovanni aveva trascorso una tranquilla notte di sonno. Infatti lui stesso sembrò guardare Elena con disappunto, sentendola apostrofare Irene con durezza. Poi era arrivata Augusta, e con il suo fare sbrigativo aveva chiesto il resoconto della situazione sia all’ infermiera che ad Irene, quasi si trattasse di una campagna militare, la loro… Ma Augusta non era sembrata poi tanto assorta nei problemi relativi alla gestione del padre, probabilmente la sua opinione riguardo alla nuova badante era stata positiva di primo acchito, e siccome come frequentemente capita a chi è molto sicuro di sé, si fidava delle proprie impressioni, era incline a ritenere che tutto stesse procedendo per il meglio. In ogni caso, quando era arrivata il momento di preparare il pranzo di Giovanni, Irene non vedeva l’ ora che anche quel passaggio della giornata fosse completato, per potersi godere un momento di tranquillità, nel corso del paio di ore che il vecchio avrebbe trascorso nel proprio letto, a riposarsi. Dopo che lo ebbe accompagnato a letto, pensò che finalmente avrebbe potuto terminare di sistemare i propri abiti nell’ armadio che le era stato messo a disposizione; poi desiderava chiamare casa, sentire i ragazzi. Fece le cose che aveva in programma, ma il tempo trascorse in un attimo; le sarebbe piaciuto ancora fare appena due passi nel cortile, dare un’ occhiata all’ esterno della casa, quando invece Giovanni già aveva spalancato gli occhi, nel letto, e aveva cominciato ad attirare la sua attenzione, lamentandosi in un modo che il giorno precedente l’ aveva un po’ impressionata, e a cui invece ora le sembrava di essere già abituata. Mentre lo aiutava ad alzarsi dal letto e a sistemarsi nella carrozzina con cui egli poteva essere trasportato da una stanza all’ altra, si chiese di quanta forza fisica avrebbe avuto bisogno per sostenere a lungo quel lavoro. Però fece un bel sorriso a Giovanni, che la ricambiò con uno sguardo stupito. – Giovanni, un giorno che c’è un bel sole ce ne andiamo un po’ a passeggio, vero? – gli disse vivacemente, e fu contenta di cogliere un bagliore di reazione nello sguardo opaco, o almeno le sembrò. Augusta era stata perentoria: si usciva solo se c’ erano almeno 20 gradi, e siccome il mese era novembre, la possibilità che quello accadesse in tempi brevi sembrava davvero remota. Così Irene sapeva già, per se stessa, che soltanto alla domenica, che era stato concordato come suo giorno di libertà, avrebbe potuto vedere un po’ di mondo esterno: la domenica, e il martedì pomeriggio. Non che questo le pesasse poi molto, era abituata a stare parecchio in casa, anche al suo paese. Ma là aveva i suoi libri, e ne leggeva molti. Non sapeva come si sarebbe trovata con i libri in italiano; comunque ne aveva già adocchiati alcuni, per casa. Le piaceva ance scrivere, brevi storie, poesie. Aveva scritto per i bambini, quando insegnava, delle filastrocche che i bambini avevano sempre trovato divertenti. Se ripensava a quel periodo della sua vita ne aveva nostalgia, quel lavoro nella scuola era stato molto appagante per lei. Aveva già visto il giorno precedente che il pomeriggio era la parte lunga della giornata. Accese la televisione, Giovanni seguiva vagamente le ombre luminose sullo schermo, lei puliva della verdura per la cena, intanto pensava a come avrebbe fatto a far trascorrere così tanto tempo, in casa, con Giovanni. L’ inverno era appena cominciato, sarebbe stato lunghissimo. Fu con uno sguardo di gratitudine che accolse l’ arrivo di Sergio. Da Augusta non aveva capito bene se quella visita fosse quotidiana o meno. Aveva notato che Augusta nominava suo fratello con visibile fastidio. Aveva sì accennato che lui avrebbe procurato le medicine, e anche che Irene si rivolgesse a lui per qualunque emergenza, in quanto dei due era quello che abitava più vicino. Ma aveva detto queste cose come se volesse sottintendere Sergio era una realtà della quale bisognava forzatamente tenere conto, anche se lei avrebbe preferito di no. Chissà perché, aveva pensato Irene, ma non ne era rimasta turbata, il mondo è pieno di fratelli e sorelle che non vanno d’ accordo, che non sembrano nemmeno nati dagli stessi genitori. -Ciao papà, buona sera Irene. Come va?- Sergio le sorride amichevole, lei si confonde un po’ perché non ricorda se il giorno precedente si siano dati del tu, le sembra di sì ma le dispiace mostrare troppa confidenza. – Bene, grazie. Io e Giovanni ci siamo fatti buona compagnia, mi sembra… Lui annuisce, togliendosi la giacca e appoggiandola su una sedia. Irene la prende e la appende, ben distesa, all’ attaccapanni del piccolo ingresso subito vicino alla cucina. – Permette? Magari la mettiamo qui, così non rischiamo di sporcarla – dice sorridendo. A lui piace molto quel fare sorridente di Irene, trova in lei una vena di gentilezza che gli sembra spontanea, lo fa sentire a proprio agio. Ha il suo consueto fascio di libri e giornali, si accorge che Irene gli lancia un’ occhiata, pensa che sia infastidita dal disordine di quel mucchio, appoggiato sul tavolo. Ma capisce meglio, quando si accorge che lei guarda proprio i titoli, allora si schermisce - Solo qualche libro di scuola… mi sembra sempre di non aver mai finito di leggere le cose che mi interessano – chissà perché le aveva dato quella strana spiegazione, poi. Cosa poteva interessare ad una badante venuta da lontano, il motivo per cui si portava sempre dei libri dietro. Irene però sorride ancora - Sei insegnante? Che bello, sei fortunato. - Sì, ai ragazzi delle medie, dai dodici ai quattordici anni… delle vere frane… - spiega lui - Perché dici questo? Io insegnavo ai bambini ancora più piccoli, sono una maestra. Questa volta le sorride lui, in fondo se lo immaginava, c’è qualche cosa nel modo di fare di lei che ricorda il tratto dell’ infanzia, di chi ama l’ infanzia. Il suo stesso modo di fare con Giovanni, probabilmente nasconde un inconscio desiderio di poterlo vedere alla stregua di un bambino, per riuscire a curarsi di lui con minore peso. -Ehh… hai anche dei figli? – inaspettatamente chiede lei. Sergio fa cenno di sì – Due -Anche io, due figli. Un ragazzo e una ragazza – la voce di Irene è appena velata, li nomina volentieri però soffre anche un poco per la loro lontananza, è chiaro. -Vivono… vivevano con te? - Sì, certo. Sono rimasti a casa, loro. Lui lavora in un’ officina meccanica, lei studia, presto andrà all’ università – Irene vorrebbe aggiungere “ se io riuscirò a mandare i soldi che servono”, ma lascia stare, non le sembra il caso improvvisamente. - Anche i miei ragazzi studiano – dice Sergio, ma capisce che lei lo dava per scontato, improvvisamente si sente un po’ a disagio ma il sorriso di lei ancora una volta mette a posto le cose, di nuovo ance lui sorride e – Ti spiace se preparo io il caffè? – le dice. In realtà non gli dispiacerebbe vederla di nuovo indaffarata a preparare, come ieri, ma non vuole che lei pensi che deve servirlo, come se facesse parte delle sue mansioni. Così velocemente si alza e lo prepara, conosce tutto in quella cucina, non ha difficoltà. Lei intanto sposta un po’ Giovanni, che sembra dare segni di disagio per essere troppo vicino alla stufa. Irene gi passa un fazzoletto pulito sulla fronte, gli offre lentamente da bere. Giovanni beve avidamente, la guarda con i suoi occhi opachi. - Sembra che ti veda, che si accorga di te. Non è così scontato, gli fai un buon effetto – le dice volentieri Sergio, sentendo che le farà piacere saperlo. Infatti Irene arrossisce leggermente: - Mah… cerco di immaginare che sia mio padre. Lui se n’è andato molto presto, io ero un ragazzina. Avrei preferito potermi occupare un po’ di lui, che fosse diventato anziano come Giovanni. Il caffè fuma nelle tazze, silenziosi lo sorseggiano. Poi lei lievemente si organizza un lavoro di cucina lì sul tavolo, proprio accanto ai libri di Sergio. Pulisce dei fagiolini che le ha portato Augusta quel mattino. Una parte saranno per Giovanni e lei, gli altri Augusta li riprenderà l’ indomani, se per favore li poteva cuocere tutti. Irene ha già capito che farà un po’ da cuoca anche per altre cucine distanti da quella, ma in fondo non le dà fastidio. Sergio apre il giornale, come il giorno prima, ma presto alza di nuovo gli occhi su di lei. Gli piace guardare il viso di quella donna gentile e premurosa: anche se senza enfasi, sul suo viso aleggiano ancora espressioni giovanili, forse quasi infantili. Il suo sguardo, riservato e dolce, appare serio e intelligente. E’ sobria nell’ aspetto, gradevole e davvero con quel sorriso lieve lo mette a suo agio, ma forse mette a proprio agio chiunque la avvicini, pensa Sergio. Anche se era facile leggere dietro quel sorriso educato un fondo di tristezza. Lei sente lo sguardo di Sergio su di sé, alza gli occhi dalla distesa di fagiolini che sta mondando, gli sorride lievemente interrogativa: -Non mi hai detto come si chiamano, i tuoi figli. E che padre sei A Sergio sembra di non aver desiderato altro che di parlare ancora, con lei. “ Che padre sei”, gli ha chiesto. Non proprio una domanda da poco conto, da parte di una persona che si conosce da un giorno. Ma ne è contento. -Enrico, e Guido. Che padre sono?...diciamo che i miei figli li amo abbastanza incondizionatamente. Forse si dice di più di voi madri, che amiate così… Ma a questo io non credo molto. Io sto dalla loro parte, indipendentemente da quel che sono e da quel che fanno. Forse amo quel modo di essere giovani, mi sembra che da “ adulti” abbiamo più da ricevere che da dare. Mi sembra che il buono che c'è, stia più in loro che non in noi. Non sono mai stato condizionante, a parte forse nel mio modo d'essere involontario. Nel senso che non mi sono mai sentito un modello da imitare. Anzi… “ non imitatemi” è il mio consiglio... almeno in tante cose... non ho mai desiderato che facessero questo o quello... L’ unico desiderio è sempre stato solo che possano essere felici. Vorrei che fossero in qualche modo dotati di una forza per cavarsela... per il resto non ero e non sono un modello. Mi sa che sono, più facilmente, una fonte di dubbi. Improvvisamente Sergio tace, sorpreso lui stesso di aver parlato così a lungo. Guarda suo padre, ma gli occhi di Giovanni sono sempre vacuamente incerti tra le ombre televisive e le figure nella stanza, Irene e lui stesso, Sergio. E chi se ne importa, pensa Sergio, se per caso mio padre mi sente, e capisce, penserà che in tutta la nostra vita non ha mai sentito così tante parole pronunciate da me… -Il figlio più grande si è dimostrato molto determinato. Soffriva, per quel che mi diceva, di una vera e propria irrequietezza esistenziale, una mancanza di senso… non si trovava bene, qui. Diceva che qui si cercano solo soldi, lavoro, affermazione personale legata ancora ai soldi e al lavoro... così è un anno e mezzo che è via. Non so se pensi di tornare, dov'è mi pare tranquillo, lavora come cameriere quel che gli basta per vivere ed è iscritto all'università... per la volontà con cui si è gestito lo ammiro. Questo era Guido. Enrico è il piccolo, è quello che ho più dubbi nel decifrare, e forse è quello che caratterialmente mi somiglia di più... direi che è senza ambizioni, senza intraprendenza, come se avesse un ideale di vita di fare il meno possibile e vivendo nel modo più semplice possibile. Di nuovo Sergio tace, sorpreso lui stesso di aver parlato, soprattutto descrivendo Enrico, anche di sé. Irene sta finendo con i fagiolini, l’ espressione seria di chi ascolta aleggia ancora nei suoi occhi, lo guarda – Li osservi bene i tuoi ragazzi, è bello sentirti parlare così di loro, mi sembri un padre amorevole Un padre amorevole? Che bella definizione da romanzo, pensa Sergio.-E tu? Che madre sei? – lo chiede, ma gli dispiace un po’. Irene ha dovuto venire via dai suoi.


Michele Serri 19/06/2013 13:26 990

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