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Una storia di paese

Fantasy

Quanto era bella Rosalia, ogni domenica mattina andava a messa insieme alle sue zie Assuntina e Totuccia, tutte vestite rigorosamente di nero, com’ era consuetudine nel piccolo paese siciliano, per le donne rimaste zitelle. Anche lei, non essendo ancora maritata, indossava prevalentemente il nero o colori scuri, ma ciò nonostante non passava inosservata.

Rosalia camminava tra le sue zie, quasi che dovessero farle da guardie del corpo ed in effetti non avevano tutti i torti, al suo passaggio tutti gli uomini scapoli e ammogliati si voltavano per guardarla e fare apprezzamenti non sempre delicati. Rosalia dal suo canto pensava: come posso trovare marito, se non mi lasciano nemmeno andare a messa da sola o a fermarmi a chiacchierare con qualcuno?

Prima di uscire le impartivano le ultime raccomandazioni: ” Rosalia, con gli occhi bassi devi stare, capito? Una donna perbene non fissa gli uomini, ma al posto suo sta, intesi?”

Lei annuiva ma sotto la “ veletta” che la obbligavano a mettere sulla testa, guardava a destra e a manca. Ed il suo sguardo si incontrava inevitabilmente con Saro, lu custureri (il sarto) il quale da lontano le faceva dei gesti tipo: ci vediamo dopo? Vieni al torrente… Rosalia rispondeva con dei cenni incomprensibili con gli occhi… Tuttavia il loro modo di comunicare non passava inosservato a tutti i presenti al rito domenicale, i quali sparlavano, non risparmiando commenti del tipo: ” Hai visto che svergognata? Pensa che siamo ciechi, lui con la moglie che aspetta nu piccirilliddru (un bambino)…”

Tutti sapevano che Rosalia era l’ amante di Saro e l’ unica ad esserne all’ oscuro di tutto, era proprio Ninetta, la moglie.

Conclusa la messa, le zie uscirono frettolosamente dalla chiesa, quasi come se l’ avessero morse una tarantola, tenendo sempre sottobraccio la nipote, e scrutando intorno se c’ erano dei malintenzionati. Ciò nonostante, la loro fuga venne interrotta da comare Cuncetta, la quale era la portavoce ufficiale di tutte le pettegole del circondario.

“ Ma che fretta… dove correte comare Assuntina e Totuccia, nemmeno n’ saluto?”

Loro con un sorriso di circostanza rispondevano: ” Ma che dite, è sempre un piacere vedervi, come state? Tutto a posto? E diteci è guarito compare Peppe?”

Lei replicò: ” Si, si tutto a posto, e voi avete trovato ‘ n bel zito per Rosalia?”

Ecco si ripeteva la solita scena, tutte le volte che si incontravano… le zie facevano con la testa di no e con il viso dispiaciuto replicavano: ” Il mondo è cambiato, gli uomini non vogliono più accasarsi con donne serie, preferiscono “ le farfalle”. E detto questo con un rapido saluto sparirono.

Cuncetta prontamente parlottava con Lisina, la sua vicina di casa: ” Macché seria e seria… tutti lo sanno, anche le pietre, che Rosalia è ‘ na mala fì mmina chi sta cu Saro, Puvireddha a mugghieri.

Intanto le tre donne dopo aver attraversato il paese, imboccarono la stradina semideserta, che le conduceva alla loro cascina. Intorno il paesaggio era spettacolare, aranceti e campi di fichi d’ india, e poi filari di vigne e colline ricoperte d’ ulivi e a scendere il mare cristallino delle coste siciliane.

Giunte a casa Rosalia si defilò nella sua stanza per cambiarsi d’ abito e indossare qualcosa di più leggero e finalmente poter fumare di nascosto la sua sigaretta liberatoria… guai se le zie se ne fossero accorte. Inoltre, non vedeva l’ ora di incontrare Saro… l’ appuntamento era dopo pranzo al torrente.

Dopo pranzo, appena le zie stordite si appisolarono, ciò avveniva tutti i giorni, dopo aver tracannato la solita bottiglia di vino; la nipote si passò un filo di rossetto sulle belle labbra carnose e si sbottonò per lasciar intravedere il seno turgescente che sballottava per via delle sue formosità e si precipitò al torrente dove l’ aspettava impaziente Saro.

Questi s’ era poggiato con un piede ad un grande albero d’ ulivo e giocava nervosamente con le mani, appena la vide il cuore gli balzò nel petto. Le andò incontro stringendola con foga, la ragazza lo respinse dicendogli: ” Saro ma lo sai che stiamo facendo, vero? ‘ Na fissaria, se lo venisse a sapere tua moglie na accide.”

Ma lui sembrava non ascoltarla e continuò a baciarla sul collo e a palpeggiarla dappertutto. Il corpo sodo di Rosalia lo faceva impazzire. La passione li travolse e rotolando sull’ erba si amarono incuranti di chi potesse scoprirli.

All’ improvviso sul più bello spuntò dal nulla Ciuciù, il garzone del fruttivendolo, il quale tutto agitato si rivolse a Saro: ” Saro, annacati,(muoviti) chi Ninetta havi i doglie!”

Saro sconvolto corse a casa, Ciuciù lanciò uno sguardo avvelenato a Rosalia dicendole: ” Sveggognaaata, cummooogghiti, ma unni vai cu st’ anchi ‘ n chianu?” (Svergognata, copriti, dove vai con queste gambe nude?) e fuggì via.

Rosalia si rivestì e si sentì improvvisamente sporca e maledetta, amava un uomo che apparteneva ad un’ altra.

Non rivide più Saro, in paese si diceva che non lasciava mai da sola la moglie e il bambino, nemmeno per andare al bar con gli amici, a farsi una partita a carte.

Nel frattempo Rosalia dimagriva a vista d’ occhio, e iniziava ad accusare un malessere generale, capogiri, vomito, nausea… tant’è che le zie preoccupate la portarono dal medico, questi dopo la visita fece uscire dallo studio le due zie, le quali si indignarono opponendosi, dicendo che loro avevano il diritto di sapere cosa stesse capitando alla nipote, ma il medico le cacciò in malo modo e rassegnate dovettero lasciare sola la nipote.

Il dottore conosceva la ragazza fin dalla nascita e nutriva per lei un sincero affetto, quindi le parlò con il cuore in mano: ” Rosalia, tu lo sai che ti succede, vero? Sei incinta, adesso sai anche che non sarà facile affrontare il tutto, le zie, il paese, la moglie di Saro… e Saro vero? In paese lo sanno tutti che sei la sua amante, ed lui il padre di tuo figlio, non è così?”

Rosalia si nascose il viso fra le mani, scoppiando in un pianto irrefrenabile, dicendo: ” Uora comu haju a fari? (Adesso come devo fare?).

Il vecchio medico le disse: ” La decisione spetta a te, pensaci bene, indietro non si torna.”

Appena uscì, Assuntina l’ afferrò per un braccio: ” Amuninni!” la incitò con aria severa.

Purtroppo la zia aveva origliato e quello che aveva sentito non le era piaciuto, mentre ritornavano a casa continuava a ripetere in modo ossessivo:” Beddra Matri, cu fu?”

Chiedeva chi fosse il colpevole del misfatto, perché nonostante fosse riuscita a carpire qualcosa di quello che stava dicendo il medico, non aveva compreso il nome dell’ autore. Nel frattempo la strattonava verso casa, livida in viso, imprecava contro la mala sorte.

Totuccia camminava al loro fianco senza fiatare, scura in volto, ma addolorata più che arrabbiata. A Rosalia sembrava che il mondo le fosse crollato addosso, e nella più totale confusione di pensieri, si chiedeva che cosa avrebbe fatto della sua vita e del bambino che portava in grembo.

Il gran caldo appiccicava i vestiti addosso ed il sole picchiava forte sulle loro teste, tanto che Rosalia perse i sensi, Assuntina fece appena in tempo a prenderla adagiandola sotto l’ ombra di una grande eucalipto.

“ Rosalia, Rosalia… Comu si? Cù osa hai?”

Totuccia rivolgendosi alla sorella esclamò: ” Ma non viri chi jè sottodopra, Rusalia sù siti chi mprescia- mprescia arrivamu a casa. (Ma non vedi che è sottosopra, Rosalia alzati che presto presto arriviamo a casa.)

Rosalia a poco a poco si riprese e per sua fortuna non erano nemmeno molto distanti dalla cascina. Il vecchio cane, Fido appena la vide le si avvicinò scodinzolando e facendole festa, lei lo accarezzò dicendole: ” Quannu ma no (Almeno) mi resti tu”

Assuntina le si rivolse con astio: ” Zitta e vè ni cca.”

Quando intervenne improvvisamente Totuccia in sua difesa: ” Ma la vedi che non sta bene, ora si va a riposare e poi parleremo di tutto.”

Rosalia la guardò con affetto e si diresse nella sua stanza.

Le sentiva litigare, ma la stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò.

Assuntina stava dicendo alla sorella: ” Tali matri, tali fighia, va ‘ bbiassi’ nta larigghia. (Tale madre, tale figlia, vi butterei nella graticola).

Totuccia scoppiò in lacrime: ” Non volevo che a Rosalia capitasse quello che è successo a me invece u distinu ci havi acciuncatu (Il destino ci ha azzoppato).

Nel paese tutti credevano che Rosalia era stata cresciuta dalle zie, in seguito alla morte prematura del loro fratello Carmelo e della moglie, avvenuta in Australia dove erano emigrati per lavoro, ma la verità era ben diversa.

La storia risaliva a parecchi anni addietro quando Totuccia era a servizio presso una famiglia benestante del paese, a quel tempo era una gran bella ragazza molto corteggiata ma lei aveva perso la testa per “ lu patruni“, questo era un uomo senza scrupoli, che non ci pensò due volte ad approfittarsi di lei, così giovane e inesperta. E una sera l’ aveva trattenuta con una scusa più del dovuto e l’ aveva sedotta. La cosa si era ripetuta più volte, fino al giorno in cui restò incinta ed il padrone la licenziò immediatamente, senza pensarci due volte, non voleva problemi con la moglie.

Nella famiglia di Totuccia successe il finimondo, il padre un uomo dai principii ferrei che non ammetteva nessuna debolezza, decise che nessuno avrebbe mai dovuto sapere quello che era successo. Segregò in casa la figlia per lunghi nove mesi, dicendo che era partita dai parenti in Germania, poi la fece partorire in casa con una donna di fiducia e da quel momento, Rosalia divenne la nipote di Totuccia.

Ora a distanza di anni, la cosa si era ripetuta con Rosalia, ignara di essere in realtà la figlia di Totuccia.

Assuntina rivolgendosi alla sorella le chiese: ” Cu fu? Beddra matri siamo state attente, non l’ abbiamo lasciata mai sola, come è potuto succedere?”

Totuccia non rispose ma in cuor suo sapeva che se una donna è innamorata trova sempre il modo di incontrare la persona amata a dispetto di tutti i controlli.

Questa, al contrario di sua sorella aveva un carattere fragile, ereditato dalla buonanima della mamma, mentre Assuntina era il ritratto vivente del padre, dura e intransigente e l’ aveva sempre sottomessa obbligandola a fare tutto quello che lei voleva, anche adesso in quella sconveniente situazione, le stava dicendo che avrebbero dovuto trovare il modo di nascondere il tutto.

Lei si rivide ragazza, rinchiusa in casa per tutto il periodo della gravidanza, macchiata dal così detto disonore, sporca… inoltre considerata anche dalla famiglia una poco di buono. Sentiva una morsa stringerle lo stomaco ed una gran voglia di urlare a tutti la verità che era lei la madre di Rosalia.

Un senso di ribellione la pervase contro tutti… contro il modo di pensare gretto di Assuntina e della gente del paese… contro i pregiudizi delle comari che predicavano bene e razzolavano male, decise che la figlia non avrebbe subito quello che lei aveva sopportato e sofferto.

Guardò con lo sguardo fiero Assuntina e sfidandola le sputò in faccia tutto quello che aveva nascosto nel cuore da moltissimo tempo, la sorella la fissava come se davanti a sé ci fosse stata una sconosciuta e gridò: ” Ma si pazza, ti rendi conto ri chiddu chi dici? Avirremu tuttu u paì si contru!”

Totuccia questa volta non abbassò lo sguardo: ” No, chista vù ota facì emu comu dicu iu.”

Assuntina, vedendo la sorella così ferma, non le restò che accettare la sua decisione… solo le sembrò giusto avvertirla: ” Fai comu vvoi, ma i conseguenze sarrannu i toi.”

Totuccia non si era mai sentita così bene, come in quel momento, finalmente libera di dire quello che pensava e soprattutto, provava un senso di riscatto verso quella dignità che aveva perso.

Rosalia si era svegliata prima, avendo avuto così modo di ascoltare la discussione delle zie, nonostante ciò c’ era qualcosa che le sfuggiva, a cosa si riferivano quando parlavano del passato? E poi non aveva mai sentito la zia Totuccia rispondere così alla zia Assuntina.

Restò sulla porta della cucina, incerta se entrare o meno, temendo le reazioni delle zie, ma Totuccia vedendola le disse: ” Cos’è ù ora hai paura ri nuatri? Trasa chi nun ti manciamu.”

Assuntina diede uno sguardo di conferma alla sorella e Totuccia invitò a Rosalia a sedersi: ” Assettati chi ti dobbiamo parrari.”

Rosalia ascoltava incredula il racconto della madre, una vita di menzogne, di segreti e di tanta ipocrisia… Poi d’ impeto sbottò: ” Ma chi minchia stati dicendo, parlate ri me vì ero? Miu fate schifu tutte e dui…”

Non poteva credere a quello che aveva sentito…

Continuò: ” Uora comu haju chiamarti? Zia, matri o vigliacca?”

Totuccia rispose con la voce rotta dal pianto: ” Non avì a alternative, se fuggivo comu avirrì ssimu vissuto…”

Rosalia fuori di sé urlò: ” Me ni vaiu iu, nun vi vogghiu cchiù vì riri!

Rosalia voleva andarsene lontano per sempre e di una cosa era convinta, non avrebbe cresciuto suo figlio in un luogo gretto e ottuso come quello, anche se non sapeva dove andare e cosa avrebbe fatto.

Ma lei era forte e sicuramente un modo per sopravvivere l’ avrebbe trovato. Si accarezzò il ventre dicendo: ” Tranquillo nicarì eddu (piccolino) ci pensari, to matri a tia.”

La coincidenza sarebbe arrivata a momenti, nella piccola stazione, non c’ era quasi nessuno, Rosalia con la valigia piena di pochi effetti personali e qualche ricordo, come la conchiglia trovata sulla spiaggia con Saro, un pomeriggio d’ estate, era in ansia al pensiero di partire e lasciare per sempre quei luoghi che aveva tanto amato.

S’ era alzato un vento caldo, la polvere inceneriva i sedili della vecchia sala d’ attesa, Rosalia seguiva con lo sguardo i treni merce che lentamente transitavano lasciando un odore di ferro, un agente della polizia ferroviaria le chiese se era suo il cane che s’ era sdraiato davanti alla porta, Rosalia con sua grande sorpresa vide che Fido l’ aveva seguita fin dentro la stazione.

L’ abbracciò teneramente dicendogli: ” Dolce Fido, cu me nun po’ vì eniri, otinni (vai) torna a casa.” Il cane iniziò a leccarla, lei lo allontanò ripetendo: ” Fai u bravu otinni, otinni”.

L’ invito di Rosalia non ebbe effetto, Fido si accucciò per terra e non si mosse più, a quel punto rassegnata lo lasciò stare, tanto fra poco partiva e sicuramente il cane sarebbe ritornato a casa. Ma ignorava che questo non era da solo, infatti nascosta in un angolo, c’ era Totuccia che guardava la scena, incredula che a momenti la figlia sarebbe andata via per sempre. Voleva fermarla, convincerla a restare, tuttavia non sapeva come fare.

Improvvisamente sentì l’ annuncio dell’ arrivo del treno, Rosalia si apprestò a recarsi presso il binario stabilito, si guardò intorno e le parve di vedere una figura, vestita di nero dietro ad un lampione, riguardò meglio ma non c’ era nessuno, pensò di essersi sbagliata.

Il convoglio si arrestò stridendo sulle rotaie, Rosalia diede un ultimo sguardo in giro e questa volta la riconobbe, la mamma era lì… ma questo non bastò a fermarla. Totuccia disse: ” Figghia mea nun ti dimenticare ri to matri.”

Rosalia salì sul vagone mentre gli occhi si riempirono di pianto, si sistemò accanto al finestrino, quando il treno con il suo inconfondibile fischio iniziò il suo viaggio. Uscì dalla stazione e cominciò ad attraversare uliveti e aranceti… Rosalia sussurrò: ” Ca ci lascio u cori miu.”

Anna Rossi 20/10/2018 06:31 3 1007

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Non so come, ma questa prima parte mi era sfuggita... Ho letto con molto interesse e adesso ho chiara tutta la situazione... anche i particolari, che man mano che leggevo i vari episodi, mi sfuggivano... un inizio stupendo e avvincente...»
Giacomo Scimonelli

«Letto con gran piacere, un viaggio nella mentalità d’altri tempi, anche se ancora oggi in paesini dell’entro terra di Sardegna, ancora vige questo possesso. Complimenti sinceri alla valente scrittrice!»
Marinella Fois

«L’eterna storia della mentalità siciliana dell’epoca, che costringeva le ragazze a nascondersi e rinunciare ai propri figli per scappare al "disonore"... Commovente e ben scritta, Complimenti.»
Franca Merighi

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