Capitolo I
1819
Non erano trascorsi nemmeno trenta minuti da quando il Reverendo Nepomuceno l’aveva unita in matrimonio con Don Coggiola, un ricco commerciante originario della Guyana Francese e amico di suo padre. Era l’uomo che lui aveva scelto come suo sposo, un completo estraneo il cui sguardo possessivo già le gelava l’anima.
In quel preciso istante, l’oppressione nel suo petto era pesante come il prezzo che suo padre le aveva appeso addosso, come se fosse una delle bestie del pascolo, destinata al miglior offerente. Un lampo di furia e amarezza la attraversò, facendole detestare la sua stirpe e quell’uomo che, con una firma, aveva sigillato il suo destino senza nemmeno consultarla.
Le lacrime erano state la sua unica arma, un torrente disperato versato invano. Aveva supplicato, implorato clemenza, ma suo padre, impassibile, si era trincerato dietro un muro di fredde ragioni. Odiava la condiscendenza in ognuna delle sue ripetute frasi:
—È per il tuo bene, Brí gida. Un uomo di successo.
— Hai bisogno di un marito che domi questo spirito indomito, questa ribellione che ti consuma.
Lui non riusciva a capire che ogni sua parola era un pugnale affilato che le si conficcava dritto nel cuore, lacerando la poca speranza che ancora nutriva.
Nemmeno le suppliche silenziose di sua madre, un’ombra di tristezza rassegnata, avevano potuto impedire quel matrimonio combinato, ordito in oscuri accordi e convenienze.
Ora, era lì, una statua nuziale inerte accanto a un uomo che le era estraneo come la lontana terra da cui proveniva. Sorrisi forzati, congratulazioni vuote di parenti e amici risuonavano nell’ampio cortile dell’hacienda, dove la celebrazione della sua sfortunata unione si tingeva di risate e degli accordi vibranti di un gruppo llanero. La sola idea che quell’uomo, ora suo marito agli occhi di Dio e della società, osasse toccarla, le rivoltava lo stomaco con una nausea intensa.
Eppure, sotto la maschera della sposa sottomessa, settimane prima aveva germogliato un seme di speranza: un piano audace per fuggire non appena i voti fossero stati pronunciati. Per realizzarlo, si era affidata alla lealtà incrollabile di Ismael, uno dei peones più anziani dell’hacienda. Il suo fedele servitore. Nei suoi occhi scuri e silenziosi, Brí gida aveva letto una devozione che trascendeva la servitù. Sapeva che lui non l’avrebbe delusa, che se l’occasione lo avesse richiesto, Ismael avrebbe dato la vita per la sua "ama Brí gida", l’appellativo affettuoso con cui si rivolgeva sempre a lei.
Con uno sguardo furtivo, lo cercò tra la folla degli invitati e lo distinse appoggiato all’ombra protettiva di uno dei rigogliosi alberi di mango, la sua figura paziente in attesa del segnale convenuto. Un leggero cenno del capo fu sufficiente a confermare che tutto era pronto.
Aspettò qualche minuto in più, sopportando le pacche sulle spalle del suo ormai marito e le frasi benintenzionate che le rivolgeva con un sorriso affettato. Con una scusa improvvisata, adducendo un’improvvisa necessità di ritirarsi alla toilette, si alzò dalla sedia. Con mani tremanti, afferrò la gonna di pizzo del suo abito nuziale e scivolò fuori dalla sala, tenendo la testa bassa per nascondere la determinazione che le ardeva negli occhi. Ogni passo la allontanava dal salone e la avvicinava alle stalle, la sua vera destinazione. Solo una fervente preghiera silenziosa accompagnava la sua fuga, implorando che nulla mandasse all’aria il suo piano.
Accelerò il passo, sentendo gli sguardi curiosi di alcuni invitati fissarsi sulla sua schiena. Svoltato l’angolo della casa, scomparve dalla loro vista e si diresse con decisione verso uno dei box dei cavalli. Lì, tra l’odore di fieno e cuoio, aveva nascosto una borsa di tela grezza che conteneva la sua altra identità, gli abiti da uomo che le avrebbero permesso di confondersi lungo il cammino. Con movimenti rapidi e goffi per l’urgenza, si sfilò il pesante abito bianco, nascondendolo tra la paglia secca, e indossò i pantaloni e la camicia larga. Era la sua unica opportunità per non essere riconosciuta, per cancellare, almeno in apparenza, il marchio di sposa novella.
Prima di abbandonare la sicurezza del box, sbirciò con cautela, assicurandosi che nessun altro oltre a Ismael fosse nelle stalle. Lo vide vicino al portone posteriore, la sua sagoma stagliata contro la luce del tramonto. Al suo fianco, tre dei suoi cavalli preferiti nitrivano dolcemente, come complici silenziosi della sua fuga. Osservò con sollievo che uno di loro portava delle bisacce gonfie, cariche di provviste per l’incerto viaggio che l’attendeva.
Senza esitare un istante di più, corse verso dove il suo leale servitore la aspettava. Con un’agilità sorprendente, insolita per una donna vestita da uomo, saltò e montò il cavallo selvaggio, il suo destriero dallo spirito libero. Spingendolo con un grido soffocato, lo diresse verso un sentiero stretto, nascosto alla vista dell’hacienda, un sentiero polveroso che si perdeva nell’immensità della pianura aperta...
Cavallo indomito,
attraversa le praterie
ricche di ciottoli.
In lontananza,
irrompe un joropo travolgente
al suono di un cuatro llanero;
mentre Donna Brí gida,
fiera e veloce,
sprona il fianco
e dice addio ai suoi affetti.