| ...e tra le ali le falene sbadigliano
cercando ragnatele
che l'amore ricama
donami mano tra gelidi baci
e tra i riccioli giocherai con dita e sorrisi
intrighi che hanno profumo di tigli
rami non più spogli
come capelli nudi sulla schiena...
toccherai con il dito
la curva solcata del mio corpo
sotto l'acqua che ha voce di poesia e pioggia
di sorrisi e battiti di farfalle
- cercami al vento delle prime sere
volerò accostato ad ogni rosa che muore al tramonto
scaldando una lacrima al cielo -
toccherai vibrazioni di gatti e di fusa
di occhi cinesi ed emozioni inattese
tratteggiato sentiero che conduce alla porta degli arcobaleni
come petali che sanno volare sulla nebbia e i suoi seni
e ti accosterai ancora... verso la voce che ha la rosa
ancora verso il sussurro da catturare nel bacio del pugno...
e i passi felini correranno piano
fino al respiro della prossima alba. |
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Che mi divori
tra le braccia dei rampicanti
come confusione, come tristezza,
come pianto che non è partorito,
come felicità,
distendersi come fa l’acqua
lungo la golena.
Giganti di foglie e rami
che aprono le mani
oltre i loro mantelli
di secche ispide falangi,
come murali, infestanti,
come saggi dimenticati
nascosti come totem d’alberi
lungo i secoli.
Che le piramidi del fiume
ospitino nel loro cuore,
nello sterno dell’immobilità,
dove per un istante
dorme in dolce trappola
la mutabilità, l’incostante umanità,
dove la stagione cambia il tempo,
lo ferma e lo bracca,
lo ricatta e lo sposa.
Prendano di me il corpo
- nudo –
di veste la neve,
d’abito sottile i ramoscelli
che l’autunno pian piano
lascino e crescano,
che d’estate
dia nettare
dove falene ancora
riposo trovino.
E che i miei occhi,
lì, chiusi,
non saranno che cristalli,
sacri,
alla notte compagni della brina,
e d’inverno, con la neve
lungo le spalle
dei titani alberi,
guardiani,
veglieranno al loro sonno. |
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| Partorì come la neve
il mare dal ghiaccio,
bianco manto d’orso
la collina di cui ha la forma.
È un ruggito,
dal mare sì,
dal vento,
che ha il volto
dei licheni e dei piccoli fiori.
Mi partorì come la tigre
che non sapeva ruggire,
come il corvo che ha ali
ma non sono nere,
non sono grigie,
ma sono d’aria,
e di sapore di lacrime,
e di nitriti che scorrono lungo i torrenti.
È un inno, e cade, e riaccende,
e si riapre come eco,
tra le foreste, come il canto degli spiriti,
come le corna degli alberi,
come gli occhi dei rapaci,
ritti tra i pensieri,
attenti a non incespicarsi.
Sono nodi... come le dita
delle bimbe perse per i boschi,
come i tuoi occhi... che io non ho mai visto...
ma tu mi chiami...
ed io ti seguo.
Sono nodi... come i rami intrecciati
secchi al freddo, ma con il sangue
come la vite che perde il suo, ed abbevera
gli assetati, i lupi sul loro cammino,
come i miei occhi... che io copro,
e dalle mani si ha piume...
non nere,
non grigie,
si aprono come vortici d’acqua
e cristalli tra i laghi,
e sono arcobaleni, dai colori sbiaditi,
fermi al respiro del senso. |
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| Fiori che sabbia sboccia
come che dalle strade,
o dalle vie, cieche in periferia,
possa sfiorare del mare l’idea
che porti dei torrenti il nutrimento
assieme a silenzi di pesco.
Lune che i caleidoscopici occhi
assaporino di pigmenti
lo studio di tutti gli universi,
di tutti i graffiti
dell’uomo e delle sue mani.
Il suono che avevano i pascoli
e della vertebra la vibrazione
di poter cadere o svenire
dopo la prima delusione.
E ancora credere,
che –mio- fratello
non possa mai farmi del male,
prendermi per mano
e accompagnarmi,
al di là delle sembianze d’ombre,
al di là dei cuccioli di leone,
al di là delle false statue.
Al di là delle nostre neonate parole
ancora troppo preistoriche,
troppo... –sai, papà, come si potevano chiamare?-
australopiteche.
E potevano all’improvviso innamorarsi,
quando il tutto poteva diventare Credo,
e le leggende prendevano vita
tra fiumi di vento
e chiome rosse dello zefiro,
e tra le onde di sale, copte
le cantilene che portavano
sulle spalle le lumiere,
le donne che ignoravano di poter essere dèe. |
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| Come benda la mano, la rete.
Come bocca il bacio, il respiro.
Come il pianto l’eco, il canto.
Come il mare la madre, la figlia.
Come dannato il cielo, l’inferno.
Come benedetto il veleno, il paradiso.
Come l’argento che ricopre la pelle,
è un soffocare che riempie le ciglia,
non è pioggia, ma neve che si scioglie al mare,
ma è sole che ripete ninne nanne alle albe.
Come il marito a cui rubarono la genie,
in fasce era la voce, cucita al mignolo.
Come il fiore che non c’è più, era d’alga il colore
e di montagna il profumo, portato come alloro
dai fenicotteri fino al delta dei pescatori.
Fino ai confini, ha corso,
gridò come padre senza figlie,
e lei partì, bambina,
e lei sparì, piccola,
sposa d’oceano.
Fino al silenzio dei boschi,
fino agli spiriti dei tronchi,
arrivò il suo canticchiar, senza parole,
-non sapeva parlare-
né lettere componevano i fulmini dei suoi occhi.
Fino al mito delle sorelle sirene,
fino al tramonto della luce nell’acque,
percorse il ghiaccio e il buio,
senza aprir sguardo,
senza pretendere il guado,
tuttavia alzò pallida la caviglia,
e l’orizzonte l’abbracciò
senza che lei si voltasse alla terra.
Braccata come le stelle,
e bianca
divenne luna. |
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È caparbio il cielo,
di rondini che sorvolano i paesi e i loro tetti.
È vanitoso come di un manto
che ricopre d’azzurro le cime cerulee.
È come guerriero che torna
dal sole delle terre fin la luce delle notti.
È furioso come dio di un olimpo che non ha più il suo Giove,
e di templi sono le rovine
che danno voce alle statue in marmo e ricordo,
come nube che nasconde le verità di un celato
che conosce solo polvere e sabbia.
E le tortore volano,
come cerchi di un sereno
che non ha variabilità,
ritmiche allo stesso tempo,
e sembra un lago
lo specchio di nefeli e lillà,
come ad un sogno
quando di natura il suo splendore
ha d’invitata consorte la maestà,
e si aprono ai sentieri
le mura e le città,
come di un tesoro il suo segreto.
E del mondo solo un angolo,
tra le finestre e i fiori ai terrazzi,
si apre come rosa ai suoi petali,
ecco le genti tra i loro palazzi,
e le donne tutte di bianco
come spose, a divenire come delicatezze di narciso
tra il prato dei loro giardini
e il fluire lento dell’erba al vento. |
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| I capelli che della sera
si riversano su pelle
e dune, attendendo che come seni
siano gocce di pioggia
in metamorfosi di lacrime di rugiada,
da vie che divengano
come salsedine che tiepida
rispecchi la luna,
su onde vicine per sabbia
da poter rapire, imprigionare,
tra dita bianche alla luce
del celato sole.
-Le tue braccia, calde,
come silenzi da difendere,
così come medaglie da collezionare
i tuoi miti respiri,
passo dopo passo,
ai lampioni testimoni,
di gatti ed effusioni.-
I candidi gerani, al soffio del profumo,
come musica di primavere passate,
riportano del solstizio
il rintocco delle ore,
la caparbia attesa di abbracciare
stringere, assaporare con occhi chiusi
i soffici laghi delle strade buie,
tra luci di stelle racchiuse in pugno,
come lucciole per piedi senza meta,
lì, dove il sonno umano
è il risveglio titubante degli alberi
resi taciti.
Ed è il salice, a collo nudo,
chino per umiltà d'anni,
ad aprir finestre invisibili
per bisbigli che si nascondono
sotto le floreali vesti incolori del vento.
Parlano...
E le rose,
si inchinano, bianche anch'esse,
come reliquie di cieli caduti,
tra spine che non portano dolore,
solo perché ora... dell'aria
tra le pieghe delle fronde,
fino alle spighe di grano,
-ruvide come terra per le mani-
per le voci che salgono fino agli scogli lontani,
possa cercar del tuo nessun pianto,
-il latrato muto delle tue radici-
placido spicchio di nuvola,
raccolto da un mio bacio. |
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| I giunchi inclinati
come inchiostri sulla cera
delle tavolette di pietra
I petali racchiusi
come soffi di bimba
tra le mani dei tigli
All'alba i tuoni
portano scompigli
e di piogge tremano le ali dei pipistrelli
verso i loro nidi in grotte.
Sai che le rocce
hanno le voci dei lakota addormentati?
Sai che il sole sboccia sulla terra
pronunciando parole
in sospiri di lingua sioux?
Esplode il silenzio
al contatto delle ambre
posando dita e frecce
sulle violacee armature
delle ametiste in arabeschi. |
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Come il ciondolo
della rugiada dal mare
dei fili al vento,
panni stesi
al silenzio
e al dolce freddo
che sa di cielo
- tra le sue ciglia, il suo sospiro
e il loro segreto matrimonio.-
Si traveste di lilla
e si spegne dal buio.
E si accarezza la pelle
come il mignolo che ha
il raggio sugli zigomi
delle nefeli
lungo i contorni rossi degli orizzonti.
Trasporta i profumi di menta e pioggia,
di trifoglio e margherita,
e poso alla panchina
delle spiagge e dei ferragosti,
delle notti insonni,
chiusi gli occhi
sulle spalle amiche,
e all’improvviso
come il neonato che scova
il volto della madre
nelle profondità delle pupille
così l’alba dona
il suo roseo rumore di pesco. |
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