| Cicatrice fra i venti
fu il tuo sussurro
e la bocca da baciare oltre i finestrini
dell’autobus
Appannata forma di bocche
che si salutano
per un arrivederci
che ha il sapore di addio
Cicatrice fra le gocce
che rigano i vetri sporchi
di un pulmino arrugginito
Fui ritratto dietro quell’opaca orma
che lasciò il tuo respiro
e impronta di dita
che si arrampicano su lisce pareti
di un saluto che stringe la gola.
"Non mi abbandonare!" Lo dicevo nella mia mente
mentre ti convincevo che ogni cosa...
ogni cosa andava bene.
Baciami sotto la luna di questo agosto
che freddo rapisce i sensi allacciati alle fragili costole
Baciami ora, quando mollerai tutto
ogni sogno per stare con me...
Egoista la mia bocca
vuole baci da incatenarti ancora...
Il motore...
L’autobus sta per partire
con le sue valige e i suoi imprechi,
con le sue speranze e i sogni piegati
insieme alle poche camicie nei bagagli.
Non salutarmi, ti prego,
non darmi un altro bacio oltre quel vetro
che vorrei spaccare di pugni...
che vorrei spaccare di lacrime...
Scapperò inseguendoti, correndo
su ciotti di strada
e sampietrini fetenti
Cadrò su tombini insulsi,
scivolerò contando le mie ossa
che rimarranno inermi a fissarti...
guardarti, mentre sarai sempre più lontano...
"Ti amo"
lo stai dicendo correndo verso i sedili posteriori...
Immagine incastonata di pioggia:
la tua mano che mi saluta
fra mute urla. |
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| Si toglieranno
come squame
e mi tocchi...
e mi leghi...
e mi baci...
ferirò la tua lingua.
Si scolleranno
come metamorfosi di un serpente
e mi sfiori...
e mi sleghi...
e mi baci...
taglierò tutte le mie dita.
Grideranno i silenzi
chiusi nelle prigioni più alte
dove hanno nidi i gufi senza piume
dove hanno scheletri che volano
le civette ustionate dalla luna
E dall'ano delle incombenze
la frusta scorre
come il filo di un mezzo- dio.
Le catene hanno il sapore freddo della nebbia
e le nuvole all'orizzonte
sembrano un mare dove affoga il sole
Inclinato collo
alla parete di metallo
Cinte di amori inganni
e veleni per indemoniati
Si ribelleranno
come boccioli colti dalla fenice
e mi tocchi...
e mi stringi...
e impazzisci...
ti farò odiare la mia anima
fino a cercarla
anche negli abissi
per baciarla. |
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| Perché dici che fu solo un segreto.
Perché giustizi sulle mie labbra tutti i tuoi baci.
Perché lanci parole senza ferirti le mani.
E a volte hai paura di guardare
la mia bocca, e i sussurri
che serrano i denti,
come quel bacio,
una sera addormentato
-più per l'alcool-, sul divano,
come un gatto fradicio
dalla pioggia malconcio.
Che sia solo un segreto allora,
il posar le mani sulle tue dita
per coprirti poi le ciglia,
per sferrarti ingenui capricci
e rapirti via,
rapinarti tutti gli incubi.
Sgattaiolare via, prima che si aprano tutte le porte,
tutte le persiane, prima che la notte venga raggiunta dal sole,
per portar nella mano un solo cenno,
una lettera detta –farfugliando- nella notte,
anche solo "un ti amo immaginario"
mentre le coperte le rimboccavo,
e ti guardavo i piedi,
quegli stivali neri e di finta pelle,
mezzi lacerati –come i miei occhi-
e mezzi intatti –come i momenti-.
Un inconsapevole bacio sulla fronte,
per dirti senza voce il posar la pelle
sui jeans, e l'attrito dei polpastrelli raggrinziti
sui polsini e la camicia umida.
Un tender la schiena sulla superficie
per sentir la febbre, o il tremolio delle palpebre
e infine accoccolarmi lì, nell'angolo,
solo per l'odore della pioggia
posata silenziosa sulle tue guance,
lungo la gola, e il contorno rosa
dei margini e i lineamenti che socchiudono
i cigolii tra le comete
e il loro spegnersi tra le ombre, e i loro capelli. |
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Hanno curvato i rami,
hanno contato le piume nelle rughe,
e hanno colorato di nero le radici,
per nasconderle.
Hanno baciato nuvole
poi scomparse,
hanno abbracciato silenziose
stellari voglie d'anziano,
sì, gli uomini che parlano.
I nonni che seduti guardano
–secondo voi- il vuoto,
mentre all'orizzonte
a loro si svela l'infinito,
o forse l'eterno.
Sì, quegli uomini che parlano,
quegli uomini che tornano bambini,
e forse addirittura piangono.
Se si portasse loro regalo,
un fiocco rosa e un fiocco blu,
da annodare alle vene del polso,
con i palloncini che credono d'esser mongolfiere,
con aquiloni che amano immaginarsi deltaplani.
Forse i pagliacci smetterebbero di esser depressi,
farebbero suonare il naso rosso,
e sposerebbero le ragazze di Woodstock.
Ma gli autobus fanno frastuoni,
e raccolgono nelle loro pance,
fino ai sedili posteriori,
gli uomini che si addormentano...
Dicono che li portano al Lago. |
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Catturavano grandi e piccole zanzare,
luce di specchi intangibili,
e con le bende agli occhi
per il sole mai visto
durante i sei mesi d'inverno,
i pescatori del Nord
solcavano i colli delle terre
quelle in cui i sogni affogavano come laghi
dove venivano inghiottiti i bambini...
Quei bambini che sognavano
laggiù i fenicotteri bianchi,
loro che erano imprigionati
in spirali di polvere e colori,
di balocchi e di volpi,
di gatti e ragliati di somari.
Dicevano che Pinocchio era solo una leggenda,
i pescatori del Sud
parlavano di balene grandi come case,
e di canti, ma non erano sirene,
non erano fanciulle né spettri.
E le bussole puntavano sempre il sole,
e le sarte sul molo
attendevano i mariti
su pescherecci riportare i bambini,
rapiti dal flauto di una ninfa,
per le credenze, mandata da Proserpina,
fin giù negli inferi, sui fiumi, le zattere d'Ade.
Ma gli anziani spegnevano la luna,
e accendevano i tanti fari dell'isola,
perché sapevano che i bimbi
sarebbero tornati,
-un giorno-,
quando oramai saranno stati pirati,
in cerca di un solo tesoro,
la madre. |
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| Trovarono –dicono- le stelle,
e poi –dicono- senza mani
scavarono, e il mare rigettava
i frutti di altre terre sulle spiagge.
Era freddo, non inverno,
i bambini dicevano di aver visto
-dicevano- di veder tingere
di porpora, come chiara e albina
la pelle immacolata,
livida e scarlatta sotto le sottane
che hanno impugnature di pietra.
Era arrivata senza bussare
-dicono- la fiaba,
invisibile, come una storia già raccontata,
come la Balena Bianca
che tutti i romanzi inseguono
-cercandola di pescare-,
la fottuta provvidenza
assieme alla fortuna.
Appese ai punti interrogativi
venivano nascoste anche le bugie,
e ogni notte le madri rimboccavano le coperte
ai figli, piccoli, senza raccontare la fine
di quelle leggende
-mai che la morte potesse toccare i loro visi-
Mai.
E nessuno raccontò
di quel ragazzo,
trovato mezzo morto,
-il cuore batteva ancora-,
incinto di sapere,
che scelse come sarcofago
il grembo di un cetaceo
che di regale amore
per lui si sacrificò. |
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| Il burqa delle tue carezze
soffocano spasmi perduti nell'eterno
perché muto sale il diafano coleottero
che porta novelle nere come pece
per carbone dipingendo bandiere.
I maratoneti dei silenzi
sfidano attimi perpetui
e la voce della Pizia
sa confonder menti
che amano ancora il d'oro Apollo
Ma tutti cercano stracci
rivendicando la reliquia
di quel lontano Socrate
che fu da cicuta portato via
come mangiatoia su lago d'Ade
cullato dall'Acheronte ammaestrato
a servir cattiveria fu Caronte
eppure il suo acido cuore s'inchinò
portando il cappello al petto.
È la calma del mare
a nasconder nelle viscere la paura
Panico d'incendio che possa naufragio
portare via casa ai pescatori
ed odo profumo di burrasca. |
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