Sono figlio dei figli di questa terra,
padre dei padri di queste colline assolate
di un passato di là da venire;
Un viaggiatore che ha preso in prestito
questo cielo,
questo vento,
questo buon sapore in bocca;
Di questi mattoni, pregni
del sudore antico dell’uomo,
che fu...
e che non sarà mai più...
Del rumore, del vociare
dolce e musicale, quasi cantilena
nenia conosciuta e da far conoscere;
Dei segreti, custoditi nei preziosi scrigni dei palazzi
muti, fermi,
spettatori che sfidano l’incuria dell’Uomo,
più che del tempo
degli spazi ora trasformati,
che una volta mi appartenevano;
dei vicoli che hanno altri nomi...
Ma è lì dove correvo,
è lì dove mi nascondevo...
Qui, adesso chi ci abita?
Questa è ancora Via Santarelli
ma Via Fantini dov’era?
Del silenzio...
appena la sera stinge i suoni,
i colori del mio mondo
Delle luci che svelano il buio
lo perquisiscono sin nel profondo...
attenuando per un po’ le paure...
E respiro sereno, dolcemente,
socchiudendo gli occhi...
...Sono a casa! |
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La nebbia
sfuma le linee
e rende austeri i palazzi
Trasfonde la realtà
come non la vorresti
Le luci della mia città
sono immerse nella bambagia
Alcune più nitide,
altre come lumini
di un presepe, da sempre...
...e le vie, i palazzi, le piazze
sfidano il tempo, la gravità
quasi volessero andare più in alto,
più su...
come un bimbo che,
prima di diventare troppo grande
vuole salire in braccio alla mamma.
Quante le stelle in cielo!
Quanto è l’Amore che ti voglio...
Ne sono immerso...
Fermo,
eppure in cammino
vivo e rutilante,
privo di traiettorie predefinite...
...provate a rinchiudere la Nebbia... |
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Una vecchia, antica chiesetta
che da tempo folla orante aspetta;
quasi per nulla il sagrato,
da lontano il silenzio è boato.
Il vento ghermisce i mattoni,
le erbacce, alte, non spengono i soni.
Da chi partivan le preci, le orazioni,
in nome di quale santo, si impartivan benedizioni?
Ora solo il canto del vento amico
porta con sé quel sapore antico
del brulicar gioioso
dei fili d’erba di un prato odoroso.
Fa che diventi muschio, lichene
calce di un tempo che il tutto sostiene
per recitar quelle preci
come quando da piccino, la scelta di amarti feci! |
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Questo borgo antico
Ci diè i natali,
di questa terra portasti con te
le speranze, le paure, i sogni di giovinetta;
le dolci colline, purtroppo avare
ti ricordavano l’Amore del Creatore,
fosti costretta ad abbandonare la Pregiagna,
scuola di Fede, di Amore
di fanciulla dedizione.
La palude ti ebbe
sua piccola ospite, per poco,
già popolata da morbo ferale,
vindice
non seppi mai, di quali offese.
Come esile giunco
Ti piegasti,
non al voler della bestia,
ma al desiderio di morire,
piuttosto che peccare.
E nelle mie preghiere
mi piace pensare che dal cielo
sulla nostra Terra natale,
effondi invisibili e odorosi gigli,
su noi, immeritevoli suoi Figli! |
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Le luci della sera
disegnano ombre
sui vicoli che conosco;
le finestre gentili
divengono grandi occhi
di maschere grottesche
o gattoni furbetti
con i baffi arricciati.
I portoni antichi
quasi antri,
che celano mondi diversi
oltre la soglia,
pronti a schiudersi
quasi come d’incanto,
a voler catturare
chi vi si avventura,
incautamente.
Grandi ali aranciate,
o gialle o diafane,
come stormi di improbabili uccelli
svelano, impudicamente,
le mura violate, spezzate dai chiodi,
dalle ferite malcelate,
da mani maldestre.
Al giunger della sera,
la mia ombra vorrei si confondesse,
con gli spiriti buoni
strattonati e sloggiati,
nell’errar vagabondo per la città... |
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Il viale incandescente di luci
obnubila allo sguardo
il cielo, mia anelata meta.
Appollaiato sul muretto,
distendo le membra
e allungo le mani,
per volare oltre i tigli centenari
che conquistavo, da bambino;
le mura silenti, merlate,
ricovero di taccole e piccioni;
la chiesa di Sant'Agostino,
incappucciata come adepto di setta.
E respirare profondamente,
prima di un ultimo balzo,
perquisito dal vento Amico
che riconosco, che mi saluta
con un buffetto delle dita.
E ritagliare uno spicchio di stellato cielo
per serbarlo nell'Anima.
Il vento un po’ si cheta,
infierendo impietoso sugli alberi, custodi del tempo,
che chinano in riverenza le chiome,
perdendo infiniti petali,
lacrime dalla loro anima...
E la melodia che calpesto
la fischietto
sul viale del vagabondar terreno... |
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Gli alberi orfani di petali
ricoverano ancora
passeri canterini
che spargono celesti melodie,
senza curarsi di chi ascolta;
un saluto, un inchino
all'aurora che sorge
sprimacciata
da mani divine
che scolora di colori cangianti
che si attenuano, mano a mano
come acquerello diluito...
E brusio,
rumori sordi, meccanici,
affastellano i viali,
le piazze, i vicoli,
tacitando il solingo concerto... |
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Ruscello dei pluviali,
inconsapevolmente,
scrosciando in borbottio
dilava allegramente
il selciato sozzo
dagli umani vizi;
festoso e musicale,
della stessa sostanza del cielo
(e quindi)
di nobile stirpe,
nelle vene del mondo, scorre,
ignorando il proprio destino.
Distratto dal gracidare assordante del tempo,
ascoltando la sua melodia immutevole,
vien voglia di chiedere
dove sia stato durante il lungo silenzio,
fatto di stanze vuote, non vissute
e di parchi orfani di bimbi;
per quali offese
occhi celesti,
han scucito sacco di lagrime...
Eppur di ciò non ti curi,
e continui la corsa;
lambisci i marciapiedi, accarezzandoli,
precipiti in buchi neri
e colmandoli, risorgi più rutilante e rumoroso.
Ti arricchisci, impoverendoti,
fino, della corsa, al tuo destino:
quale che sia forse ognun sa,
ma non è nostro il compito
di svelarne il suo segreto. |
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Passeggio fischiettando
incontro al Sol che tramonta
mura turrite a settentrione
ricettacolo di gechi epicurei;
color ambra attenuato, pronto ad esplodere
atomi energeticamente parcellizzati:
da scudo si ergono
al mutar delle stagioni
al cangiar del tempo
allo scolorir di umane emozioni.
Attraversati i secoli
a serbar scrigno
di fragilità umane;
potesser parlar quei mattoni,
offesi da guano di piccioni...
Mura proiettate al di là del presente,
l’Uomo insegue desiderio d’immortalità,
eppur la morte è nulla per noi
atarassia quieta e scaccia...
Mio mondo nel qual viver nascosto;
in assenza di agitazione
vivo
e lo faccio alla mia maniera! |
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Dentro Porta San Giovanni,
davanti a te, Maria
genuflesso, mi son segnato:
a fatica ho sciolto la corazza,
usbergo sul cuore, guscio dell’anima,
affinché sguardo pietoso e buono
penetri sin nel profondo
ed espanda il petto.
Tumulto si attenua, si quietano i battiti;
cacciate paure come insetti insolenti.
Tutto è bello e amor si rinnova:
salita di mia vita non infinita,
debolezza di uomo, dentro se stesso
convive come in un altro.
Par che sorridi:
sole al tramonto, balzando di pietra in pietra
rimbalza sul viso,
e oscura un lumino, ai piedi;
indugia la luce, ed è per sempre Madre,
Madre per sempre. |
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Vicoli vivo, visitando labirinto di anime;
solo soletto, il sole fa capolino
tra tratti interrotti di muti palazzi:
linfa vitale sgorga dalle crepe,
alla fine di un viaggio
di cui si ha memoria
in incunaboli, pasto di tarme di storia.
Semi seguono vie vitali,
a colorar, silenti, mura dai fianchi larghi.
Falce fa fatica,
nel mutar delle stagioni
a rimuovere natural ghirlanda:
ma poi chi ci manda
con scale, arnesi, bastoni?
Non è più tempo d'assedi, mica! |
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Calice d’oro,
Graal di pietra profano
e non per questo men santo;
per dissetarmi al suono di novo Sole
alla tua ombra ho dormito,
sotto un foulard di stelle,
all’acquietarsi di Vita,
al tacer improvviso di grilli e cicale.
Sentinella centenaria
a piccolo scrigno di immateriale bellezza.
Sempre desta,
in silente attesa
diversa e sempre uguale,
alla processione delle stagioni
allo scolorir di innaturali suoni.
E non puoi scansarti
all’aggressione impudica
di taccole e piccioni.
(Putto)
“Se solo potessi
a suon di calcioni e buffetti
allontanar molesti visitatori,
vorrei splender sempre, come ora,
al tramonto di Corinaldo, che così mi colora!” |
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Spina dorsale
sulla quale grava
fardello di mattoni rossi,
intrisi di sudore e storia,
di rumori d’arme e duelli d’amore,
dell’opra del villan
e dei corteggi di nobili stirpi.
Peso si fa lieve,
come velo sottile
che appanna secoli di storia
se fuggi, tra palazzi
affastellati, a spina di pesce
nei vicoli tentacolari;
spire mi avvolgono, cullandomi,
nel corso di stagioni
luminose e buie di mia Vita;
e seppur facciate antiche
per poco arrossiscono al Sole,
esplode sinfonia di colori,
suoni, voci, rumori,
da sottofondo a spettacolo discreto
di sospeso tempo,
di antico colore,
senza che per questo
incuria e umane opere
riescano a farne scempio. |
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Da tempo vado novellando
di sana pazzia
del borgo natio, da quando
con farina gialla
sfamar si volle, contado tutto
seppur dal pozzo, polenta non venisse a galla.
Ma per vicoli antichi
di formidabile Piaggia
singolar facciata appare tra selvatici fichi.
Di “Scuretto” è la magione,
ciabattino degli anni andati,
appellativo del quale ignoro la ragione.
Negli anni che scolorano ricordi,
valeva il mattone:
una casa propria, ché nessun si scordi
di povero cristo, di umil condizione
che pur se arrivavan denari dalle Americhe
a Bacco di continuo pagava pigione.
Un bel dì, figlio emigrato
saper volle il destino dei suoi sudori:
voleva veder dove avrebbe abitato
dopo forzato esilio, per lavoro:
“Raccontami, padre, della casa i progressi:
mostrami, dunque il suo decoro!”
Solerte ne allestì facciata,
con vasi alle finestre,
civico numero e... una furbata:
alla finestra con una scala -ed è storia-
spedì foto con sorrisi e saluti;
il figlio non credette e ne fece memoria:
e questo di Corinaldo rimase il più famoso degli insoluti! |
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La mia ombra
cammina innanzi a me
e mi precede;
dinoccolando metto in fila
gradini di salita,
scalini di mia vita.
Perché non ho voglia di seguirla?
Attraverso vicoli
che mi videro giovinetto;
novello Peter Pan,
vorrei che l’ombra
partisse da me,
mi rendesse orfano
di futuro incerto
di traiettorie cadenti,
di autunno giunto anzitempo,
che incanutisce le cime
e abita con perseveranza il cuore.
Un dolce pensiero
riannoda i ricordi
e si fa memoria;
granelli di emozioni a goccia
stillano e stratificano
al basso, in clessidra.
Vetri opachi:
non scorgo sopra di me,
mentre sabbie del tempo
ghermiscono ali cenerine... |
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Viale in ombra lucente
di cariossidi brillanti
al barlume naturale o d’artificio:
se rimossi, polvere aurea
d’impronta, lascia;
né vento solleticoso,
né ramazza impertinente,
né pestoni di mostri meccanici
- scolora -
Tempo, rumori,
anni frettolosi
- cristallizza-
Un tratto dritto,
una curva leggera,
simile a fianchi adorati,
ancora una dritta
verso la luce...
Al riparo di intemperie di Vita,
tra i brecci
al rumor festoso, se pestati,
al dolce chiacchiericcio
di grilli e cicale
di canto e controcanto,
riposar vorrò un giorno,
in attesa di futuro ritorno
a vita vissuta, al buon sapore
che voglio e sento, di antico colore... |
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Borgo mio,
operoso e distante,
periferia dell’Anima
strade polverose, ho il ricordo
“Strada Nova” e ancor da terminare:
breccione, e poi breccia
sempre più fine:
in calde giornate
qual furono un tempo
(come ora)
viso, capelli, ginocchi infarinati
quasi lavorassimo da sempre, dal fornaio.
Qualche “sfrigio”,
qualche ginocchio sbucciato,
macchiata la pelle
di misto sangue e marrone
di saliva, se andava bene...
Borgo mio,
a cercar monete
tra i brecci,
resti di scambi
dove valeva una stretta di mano
e una bevuta all’osteria,
tra una morra e un segno di croce.
Di alcuni rumori si è persa la voce
come del bruciore dell’alcool rosso
sulle quotidiane ferite... |
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Mare di velluto e mirabili monti
A protezione di borghi antichi
Riecheggianti dell’opra di gente testarda
Celestiali versi, in odor di Santi
Humus di cultura, fede, storia:
E l’Italia è in una Regione! |
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Palpebre aperte
occhi spenti
metastatici laterizi
privi di vita
cuore necrotico
a pulsare non vedo.
Piccola città
a serbare scrigno
a spente luci
a spenti rumori
Il vento pudico
visita i vicoli
si carica di ricordi
fischia tra i piombatoi
scropella gli infissi silenti
mai aperti
mai chiusi.
Esiste un mondo
di la da quei vetri?
Una donnetta si affretta,
sul far della sera... |
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lo sferruzzare davanti all'uscio
di fili colorati
che ormai non si trovan più
la bocca
non ferma le mani, svelte
e lo sguardo,
indugia altrove
fili strinati
guastati e ricostruiti
montati e smontati
a nuovi disegni, già visti:
ad armonie di casa
legati a sogni fanciulli,
di giochi di bimbe
strappate troppo presto
a giochi di bimbi,
giù, in strada
dai lavori in casa
da un oscuro scantinato,
insolente ronzio
tacita il frinire delle stelle
presentando il conto
di un tempo lieto... |
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Ognuno se ne può fare un’opinione;
che ci crediate o meno
Corinaldo ha l’effetto lampione!
“Genius Loci” di un posto ameno,
interazione tra luogo ed identità:
un sano non si trova, e almeno
il buonumore si respira in città.
Se le perse chiavi cerchi altrove,
dove vi è luce, è per comodità!
Ma se smarrisci l’oriolo, di notte alle nove,
uno dei primi, pochi ce l’hanno
dopo ricerche vane, in ogni dove;
il saggio “Menchetta” intuendo il danno
e facendo memoria di un piccolo difetto
raddrizzò le spalle, gonfiò il petto
andò un po’ più in là, senza affanno...
-E’ un bell’orologio, da mostrare ai passanti:
Lo cerco qua, d’altronde andava avanti!- |
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Se non sapessi dove mi trovo
a liberare l’anima in volo
nel guardarmi intorno, provo
a socchiudere gli occhi e non solo
a trascrivere su un rigo, come tale
gli schiamazzi e le risa, nel sole,
il frinire virile delle cicale,
aulente armonia che primavera vuole.
Schiena possente del Viale, cattura,
serba, ne fa tesoro, ora come un tempo
di tempeste dell’anima, nell’età matura
di grida di fanciulli, ché non finisca il tempo
dell’addio ai giochi, al rincorrersi, senza sconti;
è in salita, quasi sempre in ombra
turbato da zefiro di un vagheggiare antico.
-Quanto somigli al mio pellegrinare!- dico.
Ora che il sentiero sconosciuto a me sembra
portami dentro te, mio Parco delle Fonti! |
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