| Guarda le foglie
aprono bocche
di anime dove riposano i fiumi
Bambini calpestano spini
Correranno come i pianeti nell'universo,
giorni appesi agli attimi
collane da fili strappati
ai colli delle nenie mattutine.
Danzeranno le fronde e si inchineranno rami,
spalancheranno ali scheletri di nuvole
e le dita del mare
toccheranno le corde delle viole,
sotto l'archetto poseranno crine di silenzio
a suonare suoni che mai nessuna nota può sfiorare
sui tasti neri degli invisibili pianoforti.
Mosaici d'ebano
intagliati sui totem delle acque,
scendono cascate dalle vette delle montagne
come eco sciolte scivolano
come pioggia d'alveari morbidi d'aria;
aure d'argento sulle prigioni delle menti
spireranno forza di venti a distruggere sbarre,
ferri di maschere e guinzagli
si romperanno sotto passo muto del respiro,
zefiro d'abbraccio catturerà i pensieri,
caduti eroi nella semicoscienza degli abissi,
spiriti d'oceani dalle onde tra le mani
spingeranno verso il cielo le loro schiene curve
verso la superficie del sole risplenderanno
come delfini i dorsi...
Respira. |
|
|
|
Sogno che d'inverno
diventa come rossa bocca di neve
e sorriso di bimbi
in questo silenzio
dà un calcio alla stigmate che marchia il dolore.
Fa il suo cammino la mano che trema
alla ricerca del volto della pioggia
e quando poserà la propria bocca al bacio ricercato
di un autunno decapitato
scoprirà il viso di pioggia come volto di madre
L'orfana bimba che cercò il perdono degli avi sconosciuti
pregando al santuario delle vergogne,
lì si dirigono coloro che dicono di esser vittime sacrificate
coloro che sono madri ormai senza più amore.
Sogno il mondo che mia madre sussurra ogni notte
quel mondo dove la pace non è nascosta nell'angolo di una gabbia
come se fosse un raro esemplare in cattività.
Fa silenzio questo zoo di umani
mentre la luna sorriderà
per questo funerale che ha pietà
forse solo dei passi soffici
che i bimbi suonano a piedi nudi
sulle nuvole del fuoco
che brucia ogni città.
Suonano le campane nel lontano limbo
che da segrete viscere portano il respiro del cielo
come ricordo che lega le ciglia ai piedi
di chi fu lapidato come cieco
piegato dall'adulterio che ha il credo della massa
Fede spaccata e stuprata
va come mendicante donna
da stracci rifiutata
Nemmeno un bacio l'uomo
l'ha toccata,
ma le sue dita unte e le sue unghie gialle
l'hanno posseduta
come fosse corpo senza vita.
Madre di bestemmie
diventa l'anima
che neonata
perde il leggero tocco
che ha l'amore
quando ormai è stato impiccato come martire
che prende il cappio
come ultimo dono di quell'adulterio
che stringe come ferro
al collo vergine di chi piange
le proprie figlie torturate come spregiudicate speranze.
Quando, madre di pioggia
cadrai come neve che posa
il velo e la spada
nella stessa memore tomba,
quando donerai la pace recondita
che cammina come ormai bambola
senza perdono né anima?
Vendetta cresce nel bimbo
che ha impastato in bocca
il sapore della guerra.
Madre pioggia,
quando scivolerai sugli stracci
che dividono la pelle dal mondo
cadrà di nuovo la pace
come neve che decora
la sposa nuziale al santuario,
il santuario dei ricordi,
fra papaveri e tulipani rossi. |
|
|
|
| Mi crei tramonti
Mi cuci rossi di nuvole
e bianchi di muri
con ago e filo alla pioggia
dove il cielo si scioglie
Gocce in perpendicolare
e il pennello si dilunga
sul foglio deformato
in punti blu e d'arancio
trapuntando di lacrime
la carta, accartocciando
pensieri e preghiere
come i fianchi sui letti.
Mi crei stelle dal buio
Mi distruggi le statue
scalfite dalla pietra
scavata nelle miniere
dei miei intestini;
il braccio portò all'esofago
l'odore del paradiso
dove le anestesie
si perdono al tocco delle siringhe.
Mi crei fuochi d'artificio
dove il blu non esiste
e mi tendi origami
per merletti neri
sui grigi presepi
tra i capelli delle madonne
e le perle di uranio...
Sai... la neve ha il soffio
freddo di un arrivederci,
di un'orfana attesa
impiccata
come a testa in giù
e dondola...
dondola come le culle
tra il canto e una mano,
come una catenina d'oro
sulle finiture a perdersi,
come le labbra rosse
screpolate e innamorate
dall'inverno, una Biancaneve
immortalata da una clessidra
sulla sabbia di una bianca ombra,
che scende nella stretta gola
di vetro e cristallo
dove sbiadito diventa il riflesso
di un volto, tra le rughe di un sorriso. |
|
|
|
| Mi porse la sua mano il silenzio
Mi baciò le ciglia nere
Mi spostò il velo di pizzo
sulla testa donato
da mia nonna quel giorno
che la trovai a pregare
con il rosario in mano
e le lacrime sul collo,
in ginocchio
verso l'altare
degli dèi a loro date
le nostre anime dannate,
a quei santi che baciava ogni notte
Quando dal mio sgabuzzino di sogni
aspettavo l'alba boreale
Qui in questo paesino
di campagna
dimenticato da ogni dio
Aspettavo ogni alba
Ogni orgasmo del sole che baciava
la brina e la terra nuda
Sul ramo secco della capanna
I corvi gracchiavano i loro messaggi di mistero e amore
Ascoltavo la loro voce
mentre la nonna li scacciava
Erano urla non voci
Erano preghiere
vestite in piume nere
Il fazzoletto nero
era annodato alla gola rugosa
Il bastone
era stretto dalle rughe della mano
Collo bianco di una regina
e lacrime di chi mai si pentì
Orgoglio contadino nel sangue
prosegue come fiume in piena
E mai mai lei perdono sentì
Occhi grigi al cielo:
"Oggi piove"
La sua voce era fulmine e fuoco di camino
La sua carezza era frusta nella brace
e baci di quel cuore che troppo presto si sposò
Che troppo presto si innamorò
Nonna, ricordo ancora il tuo profumo
E la menta nel prato
Bocche di leone
sbadigliavano al raggio di sole
E i loro petali volavano
come il vento delle tue lacrime
di superbia contadina
Ma ti bacio
Anche se l'ultimo bacio
a te non riuscii a donare
al tuo funerale
Ma ti stringo
Anche se l'ultimo abbraccio
a te non riuscii a regalare
E di te
Ricorderò lo specchio e il suo respiro
Le tue mani a formar trecce
Lì, riflesso il ricordo della mia infanzia
Lì, riflesso il ricordo del tuo sorriso
Incastrato in quello vecchio specchio
che ti vide per prima sposa
Sui tuoi capelli neri cadde il velo bianco
E sulle mie mani cadde a pezzi il tuo vaso
Sull'opaco specchio
"oggi piove". |
|
|
|
Perché ci sono rami
nelle vene e scricchiolano.
Ci sono nuvole nell'intestino
che otturano gli occhi,
come ghiaccio nel travestirsi in pioggia,
come grandine sulle foglie raccolte
sui vasi da guerra,
sui silenzi...
sui poeti che non hanno più ispirazione.
Ad Est si spalancano le mattine
come pupille gialle, pallide, bianche,
come mute ancelle che nel portar luce
si tagliano i capelli dorati
ad ogni raggio che filtrerà dalla finestra.
E mi guarderai dai tuoi occhi ciechi.
E mi amerai come la figlia
che dall'acqua si dona
al futuro spaventata.
Il tempo che nel secolo
si rincorre come una coda di dragone,
come i denti nell'afferrare
la monca solitudine,
nello sfiorare i lineamenti di statue di marmo.
Nel voler affogare
dentro le lenzuola, fin nel cuore dei letti
per abbandonare... questo mondo...
Ci sono deliri incastonati
ad ogni notte
come fili che Penelope
ricuce sulle palpebre.
Ci sono amori
che sembrano follie,
ci sono armi che non hanno pugnali
né proiettili eppure trafiggono il petto
giù come gli omicidi dei mariti,
come i pianti dei bambini
chiusi nelle auto...
Ci sono anfore
per ogni metamorfosi
di una parola persa nella gola,
per ogni frammento di specchio,
custodi nella terracotta
come il fuoco che intrappola le mani,
come l'argilla -apatica - sulla bocca,
come le trombe urlate
sulle spoglie dei teatri,
con tutto il fiato
per orchestre uccise...
Ci sono allucinazioni di neonato
sospese
nel turgido spazio candido
come sul seno la madre
-che non parla-
Come i suoi nèi di una costellazione
dove la via lattea
riporterà nei sogni,
dalle ancore all'abisso
fino alla stella polare,
la curva dei delfini sul cielo. |
|
|
|
Seguo la pioggia
sotto questi fantasmi che si dileguano
in universi d'acqua,
le tue lacrime,
se potessi distrugger i muri
e scalza morire fondendomi all'asfalto,
distruggendo gomme che le ruote esplodono.
Ti ricordi... quando abbiamo gridato insieme.
Hai riso,
ho pianto,
hai baciato, preso, accarezzato, solitario
di carte in composizioni di erbe e floreali
illusioni che gli inganni
percorrono nella gola
sulla via delle salive che piangono
tra ciglia e unghie,
sulle lenzuola
che i cuori sono di un rosso sbiadito,
lavato troppe volte in lavatrice.
-Parlarono di amori che le dita incrociate sbloccano-
Forse la tua eco
è un karma da poter dipingere
come una Gioconda
sulla tela che i ponti
ricavano sulla schiena.
-Parlarono di bimbi
che l'autismo fa schiavi e geni-
E di noi...
Una nebbia che urla
indigene e arcaiche samsara,
come visioni per cecità
che il tatto infrange in granelli di gocce
sulla pelle che la rugiada
alla terra sboccia
persino sulla sabbia
petali a forma di dita.
E di noi...
Che ci nascondevamo sotto le coperte,
fingendo che il mondo era un mare dove poter respirare,
fingendo che le foglie erano le parole
che gli alberi mandavano
alle estremità del mondo.
-Non dire che non ti avevano avvertito cosa fosse l'amore-
Lucciole che l'estate bacia
come le feste, di palloncini e colori,
-lasciati andare,
cielo che dal nero al blu
è un mosaico che vola all'infinito
degli occhi puntati all'insù-
Che rincorrono i pittori
persi tra le gambe delle notti
come calendari veloci che le primavere
sorteggiano tra i giorni
e le domeniche battezzate da salsedine e neve. |
|
|
|
| Delicata... soffice...
-fermati-
Potrebbero di vento gelarsi le ciglia,
potrebbe bloccarsi il tempo,
e l’infarto delle stagioni incartocciarsi
come secche quelle mani come le foglie.
Scura... e bianca...
-fermati-
Come di un sospiro,
l’alone sul finestrino,
la tua firma sulla schiena
della mia anima
come un’autovettura,
e il cielo decomporsi
in migliaia di petali
per anni di fiori sconosciuti
per mondi senza confine.
Rossa... e azzurra...
-fermati-
Come di un errore,
in un gioco senza ferite,
come di un buio
che nell’inerzia ha la lampadina,
come di un nome che l’ora
non fa in tempo a chiamarlo
per un minuto che è già giorno.
Per un urlo... tacito,
che tu non sappia mai la sua voce,
tra le notti,
quante volte ho invocato i tuoi colori,
e pregato senza parole,
e la lingua balbettava tra i denti
Padre Nostro
per i caduti di ogni dannazione...
E tu mi dicevi che io non credevo in Dio...
Ed io ti rispondevo...
Che non credevo nell’uomo...
È un silenzio giallo,
l’alba senza il sole
tra il velo di un capello,
quello di una trasparente incognita
tra le primavere e la pioggia. |
|
|
|
|
Giorgia Spurio, nata il 21/12/1986 a Ascoli Piceno, ha lavorato in progetti educativi, dedicati all’educazione civica e musicali.
È docente di lettere presso la scuola secondaria di primo grado.
Ha vinto vari premi letterari nazionali e internazionali di poesia e narrativa.
Ha pubblicato le sillogi: "Quando l’est mi rubò gli occhi", "Dove bussa il mare", "Quanto è difficile essere bambini", "Piccoli Prometeo", "Le ninne nanne degli Šar" e "L’orecchio delle dee" (Macabor Editore).
"L’inverno in giardino" è il suo primo romanzo, breve e di genere storico.
Da Macabor è stato pubblicato il suo libro di fiabe "I Bambini Ciliegio e altre storie ".
Grazie al Premio InediTO 2017 è uscito il romanzo "Gli Occhi degli Orologi" premiato e presentato al Salone del Libro di Torino poi a
Più Libri Più Liberi di Roma.
A dicembre 2023 esce il libro di poesie PURPLE CIRCUS, edito da Polissena Fiabe e Poesie. È una silloge originale che fa parlare i suoi personaggi, animali e acrobati, e a volte zooma sugli spettatori, per parlare della società umana attraverso l’allegoria del circo e denunciare tutte le forme di violenza. |
|