Dolente umanità sotto i cipressi
- dove i passi di ognuno son gli stessi -
a vegliare e onorare i suoi defunti,
al di là della morte ancor congiunti
nel conforto sentito nel presente,
condiviso da tanta e tanta gente,
del senso ancor d’amore corrisposto
tra chi è altrove ma anche in questo posto. |
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Piango anch’io
in quel campo
- distrutto dalla grandine
il raccolto -
su un masso, con mio padre
e la famiglia di lui,
ante il mio tempo.
E mi vedo
nell’aia della fattoria
quando l’ufficiale tedesco
punta il fucile su mio padre
ma non sparerà.
Sento mia madre dire a un ingegnere
“No”, perché ama un altro,
un contadino.
Vedo
mia zia portare
mucche al pascolo,
bambina all’alba,
e poi correre a scuola,
faccia sporca,
ma con la voglia di imparare
netta.
Me le hanno raccontate
le radici della mia storia,
del mio albero;
le ho assorbite,
vissute dentro il tronco,
dove ho appreso
dall’esempio.
Dopo,
ho aperto i rami,
quelli miei,
fidando sulla loro resistenza
o comunque rischiando
si spezzassero,
alcuni,
perché la vita è rischio,
scoperta, schianto,
sudore e conoscenza,
ricerca di noi stessi
e dell’amore,
ma la fiducia
la danno le radici
ed il sapere,
per me,
ante il mio tempo,
ante tutti i tempi...
"Chi" ha piantato l’albero. |
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Ci sono tanti mondi
quante son le persone
a gravitare a gruppi
sotto lo stesso Sole;
qualcuno, brullo e ignaro
di ciò che dà calore,
si staccherà dal giro
con una rotazione. |
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Continuo io il tuo tempo
nella sera,
nello spazio di mondo
ch’era tuo,
e se prima sapevi
la mia vita,
anche solo d’una carezza nel passaggio,
ora associ
alle mie scelte
il mio pensarti,
così continui
il ruolo tuo: la mamma. |
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Correggi ai distanti
d’istanti la luce:
gli abbracci non dati
si vedano in volo
tra refoli e soffi
di lievi carezze annunciate
da un vento diverso.
La speme in riflesso
del bene comune
agognato
accogli
e la fede
nel clemente Tuo sguardo
risplenda. |
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Nel mio spicchio di cielo a rovesciarsi
da ogni forma di nube sono i giorni.
Se quel che è buono ha il disegno di un cuore
che il luminoso eccessivo schermisce
riverberando i cristalli di ghiaccio
perché si sciolgano in pioggia feconda...
...La cattiveria ha la foggia di gabbia
ch’è fatta grigia da invidie e rancori
e trasuda – per osmosi diretta-
cosa? I suoi fluidi boriosi e rabbiosi.
Nel mio specchio di cielo vanno errando
d’ogni forma le nuvole dei giorni. |
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| Girerà il mio cielo
e un nuovo Sole
irradierà lo spazio
dell’ignoto.
Sapienza e meraviglia
dell’Amore
albergheranno
in quello ch’era un cuore.
E mentre questo mondo si fa stretto
avverto il mio futuro benedetto. |
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| La nostra comunità
è come un albero
che ha sui rami,
insieme,
foglie secche,
che stanno per staccarsi,
dolcemente,
poi di un maturo giallo
le seguenti,
e tante foglie verdi,
verde muschio,
verde prato,
verde menta
e poi le gemme.
Ma se una foglia verde
si stacca all’improvviso,
non solo il ramo è scosso,
ma freme l’albero
al vento freddo,
fuori stagione. |
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| Carisma da carisma si distingue,
vogliate quelli grandi, intensamente;
parlare io potrei tutte le lingue
degli uomini e degli angeli, fluente,
ma essere stonato o strepitante,
se della carità non fossi pregno;
se fossi dotto e vaticinante,
non sarei nulla e di nulla degno
senza una calda carità trainante;
pur spostando montagne con la fede,
pur se lasciassi agli altri ogni mio bene
e mille beni ad ogni mio erede,
non avessi la carità, orbene,
a nulla servirebbe averne vanto;
la carità è magnanima, indulgente,
non invidiosa e non tien conto tanto
né poco d’ogni male ricevente;
scusa, crede, sopporta tutto e spera,
non si gonfia d’orgoglio, non si vanta,
non è interessata, non dispera,
non s’adira, di verità s’ammanta:
non avrà fine giammai la carità.
Quando le profezie scompariranno,
l’imperfetta conoscenza svanirà,
come dono le lingue cesseranno,
resteran: fede, speranza e carità. |
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La mia barchetta
era tenuta a galla
da mani amorevoli
e guidata
in una pozza d’acqua
del mio tempo bambino.
Crescendo,
ho costruito la mia barca
e usato i remi,
mentre l’acqua del tempo
è diventata un fiume
dal corso sinuoso,
-tante svolte -
dal ritmo sereno,
sonnolento
o agitato,
persino tempestoso.
La barca è al centro del fiume,
nel presente,
che non esisterebbe
senza il passato dietro
e il futuro davanti,
è un unico corso
a Chi osserva dall’alto.
Con me c’è ancora
la bambina della barchetta,
perché la prima acqua
è nel mio fiume del tempo.
Uso i remi mentre arrivo
alla prossima svolta,
non so mai se sarà l’ultima;
lo saprò quando la barca
comincerà a correre da sola
e butterò i remi,
inutili,
preparandomi al salto
nella cascata dal mio mondo
all’altro. |
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| - Siamo tutti -
in precario equilibrio
nel tempo senza pausa
- in cerca d’una causa -
nello spazio che ricalca
i nostri passi
- scossi sospinti ripiegati
squassati -
in ogni dove
da un vento fatale
- in attesa -
che l’ultimo soffio
ci sospinga
per quel dove
- altrove – |
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Ha un altro passo
il tempo
nella sera
e non segue più il nostro,
sopravanza,
come l'ombra
che al contrario
va
verso la luce. |
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| Filtrata
da un madido
cipresso,
la pioggia
batte il tempo
sulla scritta:
“Dal Cielo guidami,
segui i miei passi,
prendimi in braccio
la notte
nei miei sogni,
così vedrò il mattino
con la serenità
di chi ha
l’amore intero
del suo
papà.” |
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| Pare un soffio la vita quando è sera
e non te l’aspettavi così presto
rimpiangendo la catena delle ore
che parevano sì lunghe nel mattino...
Ma comincia il declino all’ora nona
in attesa d’un diverso tuo destino
mentre un pensiero di pace ti perdona. |
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In paese era giorno di festa,
e col fuoco il pallone si alzava:
tu tenevi rialzata la testa...
nella notte leggero brillava.
Tra girandole, giochi e torrone,
un cuor bianco da porta- rosario
si prendeva di te l’attenzione,
attaccato a un cordino precario.
Poi la musica si allontanava,
al ritorno il tuo passo era stanco;
una macchina nera aspettava,
dondolavi il tuo cuor ch’era bianco.
Eran quattro ed uno parlava,
affacciato chiedeva il tuo nome,
e quel cuore che rappresentava:
gli spiegavi il perché ed il percome.
Era triste quell’uomo di notte,
domandava: "il rosario lo dici?"
Le parole gli uscivano rotte,
il silenzio avvolgeva gli amici.
Il tuo nome chiamava la zia,
non potevi più farla aspettare,
"mi dispiace ma devo andar via",
ma uno sguardo ti fece fermare.
L’atmosfera era quella di un sogno,
che voleva quell’uomo ... e da te?
"D’un rosario ho davvero bisogno"
ti chiese: "dillo stasera per me".
Quella bimba più tardi ha pregato,
nella formula detta abbreviata:
un "cuor bianco" aiutare ha provato
una vita ad un bivio trovata. | |
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| Ti aspetto fuori - Dio -
da questo mondo
dove mi hai posto, ignara,
un dì d’autunno...
- quando sarà il momento -
per presentarti il conto
dei miei sbagli
dei miei peccati:
la mia insufficienza,
sperando nella Tua grande clemenza.
Ma ho un altro conto a Te
da presentare:
il numero dei pianti
di cui sono venuta a conoscenza
di innocenti straziati e tormentati
dal male derivato dagli abusi
del pur libero arbitrio
che ci hai dato.
- Dovrai spiegarmi perché
l’hai tollerato. -
Ti aspetto fuori - Dio -
da questo mondo,
nel tuo spazio ch’è Amore
a tutto tondo.
Sotto il più giusto Cielo
come sfondo. |
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Conosco un sacerdote di frontiera:
una forza vitale lo precede,
e sulla strada della vita vera
si accorge di chi arranca, di chi cede.
Si è presentato alla Provvidenza:
si dan del tu e non cammina senza.
Lo dimostran le opere create,
le vite dalla strada che ha salvate,
dandogli un pane, un libro ed una Stella:
la direzione giusta, sempre quella.
È saggia e sorridente la sua fede,
che non impone, manco a chi non crede.
Quarant’anni a condurre una missione,
con nel cuore gli affetti: l’emozione
oggi al suo vecchio mondo che festeggia
chi la lingua del Cielo padroneggia. |
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| Oggi sono sessant’anni
che è ordinato sacerdote,
che a curare i nostri affanni
mette a fondo ogni sua dote.
Le parole detta il cuore,
il sorriso dentro gli occhi,
lui comprende ogni dolore
che il tuo animo trabocchi.
Se lo ascolti mentre canta,
la sua voce portentosa
è la stessa dei quaranta
ed è ancora strepitosa.
Ha la forza dei suoi monti,
e lui tanti ne ha scalati,
ha l’incanto dei tramonti
quando sono più inoltrati.
E lo vedi in paramenti,
giorno o notte non lo fermi,
a portare i sacramenti
a chi muore, ai suoi infermi.
Quanti amici ha accompagnato
cari all’ultima partenza,
nel lasciarli ha conservato
nel suo cuor la lor presenza.
Un carattere squisito,
un carisma affascinante,
quando è il caso divertito,
è un compagno trascinante.
Ed ognuno, fortunato
parrocchiano alla sua scuola,
or ringrazia Chi gli ha dato
Don Nicola e la sua stola! |
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Uno spicchio di cielo
con più climi
a bersagliarmi
e a illuminarmi
i dì.
Uno spicchio di cielo
a sollevarmi
quando ti ho visto il volto,
figlia mia.
Uno spicchio di cielo
ad affacciarmi
sui passi svelti dei miei domani
qui. |
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| I miei passi su polvere
di vento
- scossi sospinti ripiegati squassati -
indistinguibili.
Infine l’ultimo soffio per quel dove
- quale orizzonte
e quale ponte -
Impercorribile?
Indistinguibile?
Abbassatevi stelle:
voglio luce. |
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| Siamo tutti
in precario equilibrio
sullo stesso gradino
nel tempo senza giorni
- in attesa -
dell’ultimo alito
che ci sospinga
alle vette del Cielo
od all’Abisso
- vento della condanna
o del perdono - |
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Piogge e lacrime grondano i cipressi:
i cieli ed i dolenti son gli stessi.
Pure cambiando secoli e stagioni,
anche usi, costumi e religioni,
per l’uomo c’è un bisogno basilare:
sentire per l’eterno il verbo amare. |
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| L’amore per il prossimo si svela
nell’istinto di aiuto e di soccorso
e da gesti spontanei si rivela,
la mente, il cuore e il fisico in concorso.
Ci si sporca a curare le ferite,
regredite in piaghe e patimenti,
che siano visibili o inferite
negli abissi di travagliate menti.
Ci si sporca a togliere la polvere,
a sgombrare i percorsi delle pene,
addosso una forza che fa muovere:
il diritto e il dovere a fare il bene.
Ma non restano macchie sul vestito
dell’amore che ha fatto sua la strada,
e un posto più sereno, più pulito
si trova e lo conosci ovunque vada. |
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| La mia vita fa pausa in una stanza
in cui non prendo sonno e il tempo corre;
se mi ottenebri con luci a intermittenza
sin dal primo dei giorni che ho memoria
- a volte un po’ più a lungo, a volte meno -
ho la tua impronta in viso ogni mattina,
quasi a farmi capire
che questa tenebra a tempo - quotidiana -
che m’invade e riposa alla sprovvista
- anche se attesa -
verrà a cambiare, un dì, la sua sostanza:
nel mentre, il tempo avvita la sua corsa
e dilata lo spazio dell’eterno...
...e ti ravviso nei tratti di un abbraccio
- avrò l’impronta in viso del tuo tocco -
quando, nel chiaroscuro di un tramonto,
dilaga il sonno in Sonno
per la Vita. |
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