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        | A Leopardi, poeta desolato
 sepolto
 in un borgo selvatico.
 Lontano dagli sguardi;
 grande cultore ed erudito
 signore di se stesso e del suo
 genio;
 capace di trovare parole,
 laddove non c’erano
 per nessun altro,
 osservando la natura,
 e le cose,
 con attenzione certosina
 e feconda.
 Curvo nelle sue carte,
 perduto al mondo e a se stesso,
 vita negata,
 relegata
 tra le carte e i testi
 e tomi
 della biblioteca,
 il suo mondo.
 Lì serrato, segregato
 In perenni ed inconsolabili
 Solitudini,
 malvisto,
 a volte incompreso;
 eppur grande e
 irraggiungibile
 nel dolore suo,
 suo unico amico e
 compagno.
 Anima vagante e persa,
 senza ristori,
 senza conforto.
 Difficile da capire, e mai capito
 Dai suoi conterranei.
 La sua solitudine grande,
 come la sua afflizione;
 e il cercar di fuggire,
 e poi tornare,
 fino all’addio a Recanati,
 posto di crudeli ed infimi, che mai
 compresero,
 il grande tra loro.
 Leopardi col suo sguardo triste,
 l’incarnante
 del travaglio del poeta,
 spesso in attrito col mondo,
 e sempre solo, con le sue
 idee e i suoi tormenti;
 inseguendo il pensiero suo,
 segreto e sofferto;
 gioia per i lettori.
 Poeta fatto di pena e di abbandono; grande, fra tanti piccoli.
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    |  |  Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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