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Bruciava il cielo sopra Damasco. Ricordi Zelira?
E tuo fratello che ancora non tornava
e tu che piangevi
e io che non sapevo pregare il vostro Dio.
Tuo padre, che batteva il rame per non ascoltare le bombe,
non si era accorto di noi;
tua madre invece aveva capito
che il tempo bastava solo per vivere.
Gocce di cera sulle mani per illuminare la scala
e quei gradini verso il basso che non terminavano mai
e il filo d’Arianna della tua mano nella mia.
Ricordi Zelira, le nostre ombre sul muro?
“Non puoi capire!” Ripetevi
e chiudendo gli occhi mi mostravi la cicatrice sul seno.
“Nessuno di loro morirà al vostro posto!”
Rispondevo, con in tasca il biglietto di ritorno.
Passava la mezza luna rossa a gola spiegata,
raffiche lontane, ma non era vento del deserto.
Urla contro i muri, voci che chiamavano nomi
e noi abbracciati sul pavimento che sapeva di topo.
Ricordi Zelira,
abbiamo fatto l’amore sotto il cielo bruciato di Damasco
tra munizioni francesi e bende insanguinate.
Perché era giusto, perché era tutto assurdo,
perché quella poteva essere l’ultima notte,
l’ultima notte della nostra vita. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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