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Nebbia,
essenza di vita perduta,
tacita custode di mille esistenze.
Nebbia,
e, tra le tue tenui spire,
fantasmi tinti di bianco
vagano alla ricerca
d'una porta nascosta,
d'un ignoto traguardo
perso in un lontano passato.
Nebbia,
nebbia vagante che accarezza
con le sue fredde mani
campi odoranti morte
nascondendo il triste desio degli sciacalli.
Nebbia,
nebbia suadente che accoglie
tra ordinari filari d'alberi
a malapena intravisti
i sospiri clandestini dei teneri amanti.
Nebbia,
nebbia avanzante nella quale
lentamente tutto svanisce
nel soffuso ovattato del grigio.
Nebbia,
e, nella nebbia,
col volto seminascosto
dall'alternarsi di luce e di nero,
di chiaro e di scuro,
di visibile e di occultato,
seguo la ghiaia del sentiero
a malapena illuminato
dalla lanterna che m'orienta,
eremita
vago
alla ricerca
di quella porta
che hanno in comune
Inferno e Paradiso. |
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Questa poesia è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
«Scritta, arrivando da Aosta in licenza dalla naja, superata la stazione di Lodi, ammirando dal finestrino del treno il paesaggio d'improvviso avvolto nel grigio manto: marzo 1975, omaggio affettuoso alla mia bassa pianura padana regno di nebbia. Pubblicata nell'antologia multimediale "Biblioteca dell'Inedito", Roma, 2004 e nella prima raccolta poetica personale "E' severamente proibito servirsi della toilette durante le fermate in stazione", Piacenza, settembre 2005» |
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