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Cade gentilmente un fiocco dal cielo,
tenue sfiora zigomi e barba,
sottile e affilatissimo
m'accarezza e m'abbandona per morirsene a terra.
Due dita si stringono attorno al tabacco,
a scaldarsi in questa eterna sola notte d'inverno,
un unico faro di cenere ad accendersi alternato.
Passi a picchiettare, schiacciano vecchia neve caduta,
passi su passi, il volto avvolto e ritirato in se,
il corpo rigido, il cuore batte pigro, il sesso spento.
Sale vaporosa e avviluppa gambe e tessuti, una nebbia rivale.
Silenziosa appesantisce quel crepitare solerte,
lo imprigiona,
l'avanzare sguscia intorno e tra le fronde cespugliose,
gravi di neve genuflessi,
e l'umido battente,
bottone su bottone,
arriva alla bocca e si lascia inghiottire.
Cede a un tormento continuo la mente,
un pensiero tornante.
Cede la bocca a un sentore deterso,
un profumo di rimembranza che irrora le labbra.
Immagini brucianti che affiorano ancora e che spossano,
e un vapore prende vita dai sospirosi ritorni del ventre.
Sono io,
che infrango te con le mie spicciole turbe,
le mie briciole,
le mie furbe vivide invenzioni
a disturbarti i riposi.
Tu pianta carnosa d'oriente,
madonna nera e discinta,
nera rosa,
ti mostri tra le foglie e sottile t'insinui, tra ragione e desiderio.
Spazi nell'intorno, in ogni goccia, negli atomi,
nei vuoti e nelle presenze che riempi,
tu santa madre stracolma di grazia,
sacra natura aspergi il mio volto di umida pioggia fine,
ora,
che benedetta è la vita in cui ti compiaci,
ora che appare una ruga di pace sopra il dolore. | 
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Aqua |
14/03/2009 20:10| 917 |
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