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 E’ un mio espediente semplice per rabberciare qualche giornata e riguadagnare il mondo. Ci vengo ogni tanto. Ho sempre scritto, di tutto, dovunque, senza però tentare mai l’azzardo di qualcosa di duraturo, da dare alle stampe. Incollo così, a volte in fretta, qualche parola appena, rattoppando ricordi, impressioni e sogno per ricordarmi di vivere. Quasi un training, insomma, per affrontare il mondo, che a volte riesce ad alleviare le incertezze e può restituire con leggerezza la misura delle cose o, magari, acquietarti provando a tratteggiare il volto crudo degli eventi. Ho in realtà cominciato solo giocandoci, come a un cruciverba, mettendo giù, senza pretese, banali ghiribizzi, ma via via che il gioco durava - e magari vi investivo qualcosa - ho avuto perfino un po’ paura, non sapendo quanto vi volessi lasciare (a volte anche frenandomi, al punto che qualche verso discreto non l’ho poi reso pubblico). La mia biografia: uno dei tanti. So naturalmente che ogni testo può comportare anche un giudizio personale su chi scrive ed io, malgrado i miei trascorsi (non letterari in senso stretto), per il rispetto che nutro verso la lettura, ho comunque il timore, ricorrendo a questa espressione impegnativa, di poter risultare inadeguato. Quanto ai giudizi: in fondo, tutti un po’ ci nascondiamo, per quanto tutti sentiamo anche il bisogno di comparire agli altri, di in qualche modo svelarci (e in modo acconcio). Avendo quindi consapevolezza che qualsivoglia narrazione, anche di pura fantasia, riveli sottotraccia te ("humani nihil a me alienum puto") la rappresentazione deve riuscire accettabile per superare quella naturale ritrosia. Leggendola, penso sia capitato così ad Elena Ferrante, che forse solo con l’anonimato ha potuto avventurarsi con audacia nelle descrizioni anche crude della vita, estraendone un senso comune. Tantopiù questa confessione può avvenire per la poesia, che è come un grido intimo, anche quando si provi a scherzarvi appena. E le poesiole che compongo sono, appunto, eruzioni inattese (anche quando mere suggestioni, metareali). Le lascio dunque in fretta e senza pretese, affrontate - l’ho detto - come passatempo saltuario, utile a vincere quei momenti miei. C’è dunque, talora, commistione fra fantasia e realtà, come nella composizione d’amore che scopro più letta (ma qui leggono tutti soprattutto dell’amore e sull’impegno civile io ho scritto già molto altrove, cosicchè, educato a quel linguaggio, riadattando in versi vedo che la redazione non sempre approva); talatra è un semplice esercizio per corrispondere al tema richiesto. Qualcuna mi è riuscita non male, in altri casi - troppi - innocue bagattelle o arzigogoli. Ho comunque ben presente, di Borges, quando, commentando il Don Chisciotte, spiegava in modo illuminante che quello era da giudicarsi un capolavoro non per la forma e il linguaggio, abbastanza approssimativi (sono comunque strumenti comunicativi sempre in evoluzione e relativi), quanto per il contenuto ed il senso che Cervantes forniva. Ricordo poi Ungaretti, che elogiava la semplicità. Sono bisogni semplici, infatti, che condividiamo ed è con quelli che puoi "fare poesia", eppure, voglio dirlo ancora, resta difficile esprimersi davvero, riscattando cioè fino in fondo l’anima e i propri sentimenti, così riuscendo a raggiungere gli altri nel profondo. Ma poi, sono così tanti che scrivono! (e c’è, nel tempo, una interminabile catena di testimoni degni). In questa prospettiva, non è che volessi scrivere capolavori, convenendo che per offrire uno scritto che abbia un valore condiviso bisogna rifarsi a qualcosa di veramente sentito, che così coinvolga (può dirsi la nostra stessa inane condizione, dibattendoci fra tormenti e gioie). Licenzio comunque le mie apprensioni, cosciente come sono di affrontare, con modestia, sensazioni della vita che avverto, a mio modo, trasmissibili, sapendo che qualche frammento può, per avventura, incastrarsi nel caleidoscopio di altri. |
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