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Il Servitore di due Padroni

"Il servitore di due padroni", noto anche come "Arlecchino servitore di due padroni", è una delle (leggi...)
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Sorge il Sole ogni mattina di Alberto De Matteis
Minuzzoli di pane 2 di Berta Biagini
Sonetti Arcanici di Franco Scarpa
Un ‘emozione in volo di Rita Angelini

SpiegaPoesie riproposte
Ruth e Idgie di Pierfrancesco Roberti
Speranza di Stefano Acierno
Acque superiori di rosanna gazzaniga
Il tuo nome, Cristo di Stefano Acierno
Baiano di Stefano Acierno
Pensiero di Elena Artaserse
Ricuciture notturne di rosanna gazzaniga
Insieme sempre per un viaggio in contromano di rob ponzani
Di nuovo di rosanna gazzaniga
Nodi di rosanna gazzaniga

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Poeta Mauro Briguglio: 2 poesie
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Ricordanza melanconica e nostalgica d'Amore incompiuto

Amore
Ricordanza melanconica e nostalgica d'Amore incompiuto
Trista e inquieta e crudel mi viene e al core
e all’alma e mesta e stanca questa doglia
che di larve infernali e pur d’Amore
nel tacito sognar fatal germoglia,
e in questo istante estivo m’è dolore,
voce e orrenda e strillante, e secca foglia,
e in questo ansioso e lungo dolorare
Poëta vado e tosto a naufragare,

e or che viene la sera e ‘l ciel s’oscura,
e flebilmente ‘l sonno a’ fior si mostra,
e a’ campi e a’ boschi e a’ rivi, e la Natura
nel riposo sen giace e vi si prostra,
la mente mia si lagna e nella cura
si tace, e lenta piagne e più non giostra,
e mentre ‘l Sol si muore un mesto sogno
a un nembo canto e all’arpa, e mi vergogno,

e se i pioppi e i carpini e queste pietre
e queste terre antiche e questo fonte,
e se i fanghi e le viole e fresche l’etre
e l’orba selva e i salci e l’orizzonte
or non odon un son di queste cetre -
di cui l’eco ne corre in fino a un monte! -
m’intenda almen la Musa, e una fanciulla,
di quercia un volto sacro, o gridi ‘l Nulla!

Un dì n’erravo e a un core io volsi ‘l viso,
e in tra’ vini e le danze - ahimè! - mi piacque,
e fu una giovin dama, e io fui conquiso,
e al seno suo e gentil l’occhio mi giacque,
e io sentìa avvicinar un Paradiso,
ma ‘l labbro mio e pudìco e in ansia tacque,
e immantinente ‘l torvo e reo Destino
mi fea nel cor, nell’alma adulterino;

e questa prisca donna a me parlava,
e diceva di lunghi e freddi pianti,
e in lei la somma Fede s’infuriava
e dianzi a’ giorni suoi remoti e affranti,
e più dell’Ebe colta a me ispirava
i sogni e l’alte spemi e i lieti canti,
e d’Elisèi vestiva - oh Campi belli! -
e i spiri suoi mi fûr freschi ruscelli.

Ma l’ardir mi mancava, e passò un mese,
e venne ‘l tempo santo del Natale,
e pur sapendo forse esser offese
le apersi ‘l core muto, e schiusi l’ale,
e ‘l spirto osceno e folle fu palese,
e allor la pinsi o Musa, o Dea immortale,
ed ella allegra e schietta sorrideva,
scansò l’Amore mio, e ‘l cor mi piagneva.

Così in vergogna insana io la fuggiva,
e al freddo verno piansi, e urlavo a Iddio,
e soffocato giacqui, e mi feriva
quest’empia cura arcana al petto mio,
e sallo ‘l Ciel soltanto ch’io soffriva -
e quanto! - oh Fato avverso, e bruto e rio,
e quand’ella dappresso ancor n’andava
io silente e solingo ne tremava,

e al dì santo e seren della Patrona
io la vidi e piagnevo, e in tra’ dipinti
la sognavo in segreto, e all’ora nona
tornato al tetto niveo gli alti istinti
d’un Poëta infuriavo e l’arpa prona
a suoi sonavo e biondi capei avvinti,
e udii una voce in Cielo: «Non è indarno!»,
ma scontento ‘l sorriso m’era, e scarno;

e venne alfine e presto Primavera,
e nulla più io sapeva di costei,
e niente le dicevo allor che sera
guardammo insieme gli astri e i loro Dei,
e nella Notte fresca e quieta e altèra
s’estinsero anche i sogni, e gli Imenei,
ma in agguato sen stava l’egro Fato,
e l’aprile mi scorse innamorato.

Men stavo quieto e arreso e all’aspersorio
qual fossi un morto antico giacqui, e spensi
le spemi arcane e allegre, e quest’ustorio
Amor soffrente e oscuro, e gli ansi incensi,
ma costei si mostrava e all’Oratorio
la Tempesta iscoppiava, i nembi densi...
e Tu beffavi forse? Tu, oh Signore?...
Chi mai si fece giuoco di quest’Amore?...

La vidi e rosea e bianca e giovin tanto,
e gentil mi parlò e al mio core immoto
udii la spene amata, averla accanto,
e a Iddio e a’ Cieli e alle nubi io sciolsi un voto,
e finiva - ma indarno - l’aspro pianto
all’occhio suo fatal qual fior di loto,
e le scorsi le man e più un anello
mirai, e infelice e allegro gridai e bello,

e nascevami in cor l’istesso foco,
e all’alma sua solinga allor parlai,
e prima muto fui, e poi e lento e a poco
un detto arcano e dolce sussurrai,
e più placava ‘l corso e venne fioco
l’ombroso e inquieto passo de’i miei lai,
e venne Pasqua e santo ‘l tempo scorse,
e lei m’amava - oh sogno! - e l’alma forse!

Mi fu come un’aurora, e come un Sole,
e m’era l’alba Luna, e m’era speme,
e l’orizzonte mi pinse - oh allegre fole! -
e sognavo abbracciarla, esserle insieme,
e m’era un campo lieto d’alme viole,
un volto... un seno... un core - e l’ansia geme! -
e ‘l donnesco sorriso m’era un strale,
la guancia e molle e snella - oh l’Immortale! -

e io parlavo a costei, e ‘la rispose,
e dissi e sogni e detti, e mai intessuti,
e sognavo donarle e baci e rose,
istanti ansiosi e inquieti e ormai perduti,
e io cantava per lei or l’armonïose
ballate allegre e dolci co’ miei liuti,
ma presto questo fresco e vivo azzardo
ne ruppe e tosto e bruto un reo beffardo.

Ahimè, ne urlava in Furie ‘l vil Destino
che in fino all’are sacre mi percosse,
e io tremava e piagneva e fui meschino,
e malato ne venni, ed ebbi tosse,
e ‘l diniego fatal e femminino
alfin nel petto lasso or mi commosse,
e pur Iddio scorgea la sua viltà,
ma nulla ‘l Ciel poté! Oh Fatalità!

Non m’amò la fanciulla, e molto piansi,
e pur uscimmo un giorno, e a Notte fonda,
e ‘l dolore del cor taceva e gli ansi
istanti fûr crudeli, e l’iraconda
e cruda stella - ‘l Fato - non infransi,
ma contemplai la bella e mora e bionda,
e a Iddio sciolsi una prece, e in fin a Luna
pregai sì vanamente altra Fortuna.

Ell’era meco alfine, e camminava
agli astri dolce e quieta, e a me vicina,
e m’era a un passo e presso, e io la mirava
e m’apparve una Musa e pur divina,
e un sogno urlò dal petto, e m’oscurava
un strale avverso e vil, sorte meschina,
e in sotto ‘l volo oscuro de’i rapaci
ell’era a un passo ansioso... d’almi baci!...

E chiamàvami allora un uomo blando,
e fu un onore udir, fui cavaliere,
e quasi in lei qualcosa stava obliando
un flagel del Destin, le brute schiere,
ma indarno al ciel alzai l’eroico brando,
le sorti infami fûr fin troppo altère,
e questa veglia e arcana passeggiata
mi svelse e ‘l pianto osceno e una ballata.

Giurai tacerle ‘l senso e ‘l core affranto,
e ‘l Destin me la impose sol amica,
e resistere - ahimè - fu vano e tanto
siccòme al Sole e al campo fa la spica,
e più non la vedevo a me d’accanto
spaziar di sua beltà una stella aprìca,
e le lettere or scrivo - e a lei! - e le imploro
e silenziosamente ‘l capel d’oro!...

Quest’è lo strazio orrendo, e ‘l mio diärio
e scrivo in lasso e prego - e vanamente! -
e a’ versi dono un pianto e all’avversario
e bieco Fato ‘l duolo, e la mia mente
la sogna: è d’oro, è argento, e rame e bario,
fantasima d’un core - e sofferente! -
e in questi vani detti e van solfeggi
ascolta, oh Musa, ancora... e m’odi... e leggi!

Tu se’ l’indarna speme, e ‘l mio sorriso,
come un lampo m’appari, e se’ mia Vita,
mio Tutto e santo e buono e Paradiso,
sentier d’un’alma inquieta e pur smarrita!...
Oh potessi di nuovo ‘l tuo bel viso
mirar... e in sogno un bacio alle tue dita!...
Sarìa men duro ognor aver dolore...
Ma sarà questa l’ultima e d’Amore?

Pietade! Un uomo muore,
ei t’amava un istante, e tu se’ lieta,
ei t’erge a Dea immortale... Egli è un Poëta!
Poesia in esclusiva
Massimiliano Zaino 15/07/2014 13:30| 2206

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