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 | ♦  Salvatore Ambrosino   | 
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        | Titiro Dal mio riposo mi sveglio estasiato,
 tra verdi fronde ed un canto campestre.
 Canto la vita con zufolo agreste,
 canto perché sono stato già amato.
 
 Melibe
 Titiro, tu come trovi il sereno
 all’ombra seduto d’un largo faggio?
 Io preparandomi al triste viaggio
 stendo il mio manto di lacrime pieno.
 
 Titiro
 Melibe, Colui che storia ‘spettava
 fecesi umano per nostra Salvezza,
 molto ha sofferto con grave amarezza
 per dare all’uomo ciò ver’ cui anelava.
 
 Melibe
 Pastore Titiro, ti è fatto il dono
 di veder natura come creato,
 per me la natura è l’arma del fato;
 solo rimango ed infelice sono.
 
 Ma spiega se puoi, o pastore beato,
 cosa ti porta a vedere il reale
 con sguardo rispetto al mio non uguale,
 con quella gioia che io ho abbandonato.
 
 Titiro
 Dal giorno in cui mi si dette il respiro
 rauco il mio pianto ha investito la terra,
 ”pace non trovo, et non ò da far guerra”,
 tal verso descrive ciò che sentivo.
 
 Poi quella Gloria cui;     ho già accennato
 vennemi incontro nella solitudo.
 Venne abbracciato il cor povero e ignudo,
 Que’ che è Vero Amor mi venne annunciato.
 
 Ma dimmi, o Melibe, che stai così affranto,
 cosa ti porta alla desolazione.
 Forse le terre non han produzione?
 Forse che ti è andato a male il vinsanto?
 
 Melibe
 Come ben sai fu’ povero esiliato,
 a lungo piansi nella mia miseria;
 sudando sangue, infin, sulla maceria
 ricostruii ciò ch’avevo lasciato.
 
 Ancor la gioia sognata nel pianto
 non riconobbi nella mesta vita,
 quella illusion che seguivo è svanita
 lasciandomi preda d’un triste canto.
 
 Nessuna terra e altrettanti valori
 posson colmare il cor mio angustiato,
 non di ricchezze ed onori è assetato
 ma di vita nuova e nuovi sapori.
 
 Racconta, se puoi, di codesto Dio;
 in quali versi, in che autore trovasti
 Quel con Il Quale il cuor tuo allietasti,
 Quel con Il Quale riempisti il tuo io?
 
 Titiro
 Non in parole, ma in vita incontrai
 Quel che si fece del mondo creatore;
 pace donommi, mi donò l’Amore
 e questa gioia ch’or tu vedi e sai.
 
 Vivo negli occhi d’un umano volto,
 vivo come viva;     è l’amicizia,
 vivo nel nostro desio di Giustizia,
 vivo come i frutti d’or del raccolto.
 
 Melibe
 Dunque t’arride la vita che speri,
 io vo passando da inganno ad inganno,
 la vita è gioiosa a te, per me è danno,
 Amore è per me fugaci piaceri.
 
 La mia esistenza vuota di sapore
 cercherà luce in ben altro cammino,
 forse per me sorgerà lo mattino,
 forse non mi salverò dal dolore.
 
 M’appare ignota la vita che canti,
 ormai ho deciso: la fuga mi aspetta,
 attende ancor poco ché il passo s’affretta;
 io e la mia miseria: due esuli amanti.
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    |  |  Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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            | «E' la mia personale interpretazione della prima Egloga delle Bucoliche di Virgilio. Quartine di endecasillabi in rima incrociata.»
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