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Sovente m’accade,
quasi avvinto da un gioco,
di volare lontano nel tempo:
un balsamico unguento
per un dio dell’Olimpo.
Mi rivedo
immerso in limpide acque
sia di fiume o di mare
circondato da Parche
a lasciarmi nudare.
E’ l’inizio d’un giorno
preludio di vita
con teiera che bolle
d’una linfa segreta
mio benefico infuso.
A caccia d’un alce con l’arco
o a scovar nella tana un coniglio,
a volte lo manco,
poche altre lo piglio,
dritto all’occhio o sul fianco.
Il selvatico abbattuto,
ormai arrosto allo spiedo
è servito... no, ghermito,
mentre lecco il mio dito
d’un umore scondito.
Voglio un frutto?
Al mio fianco
sia esso rosso o pur bianco
tosto
fa l’occhiolino.
Mi delizia quel volo
e quell’aria pulita
senza la mascherina
che pur spesso compare
nella città più vicina.
Respirando a pieni polmoni
vanno via le paure,
crollano
vessazioni corruttele imbroglioni,
senza finta politica.
Qui,
nel mondo dei sogni,
la tendenza reale è il servire
al bisogno dell’uomo
come insegna Aristotele.
E le tasse?
Lasciamo pagare quei cani,
dicevano in coro
le Parche sovrane.
Ma quel mondo dei sogni
or che dormo e
che sembra normale
è soltanto irreale?
Se mi desto
son perso
che rivedo lo schifo
I soprusi e i traccheggi
I ladroni burocrati
verso i miseri afflitti.
Se mi desto son perso
perché il mondo
è diverso.
E mortifico
insana voglia
di fare a pugni
mia natura ferina,
come scrisse quel sommo.
Ma come, tu?
Tu che sei tanto buono
e tanto gentile.
Ma chi l’ha detto? - rispondo
No, io non sono buono:
non sono un corrotto.
No, io non sono gentile:
non mènto.
Maledico la vita,
quella dei buoni e gentili,
che la mia
è
troppo breve. | |
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