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Oh mie piccole nebbie, oh spettri immersi e falbi
nell’orizzonte infinito, e oh scialbe cere e oscure
del meriggiàr dei subiti tramonti, e
oh mietute campagne, udite! È un canto, ed è
il mio sognàr più nuovo; e qui ove il pianto (mio)
si proträe all’Ignoto, i vostri monti che sono
discernibili appena, e queste sere
tristi mi son. E i crepuscoli tersi - i vostri! -
dalle lacrime mie saranno; e aspersi (da lor) per sempre
andranno i miei ricordi, e le preghiere mie.
Perché qui in un arcano - e ora - mi opprime - e molto! -
un’appassita cura: che per voi è un singulto, e
che per me è un soffrìr che mi inquieta il cuore. E
è il taciturno assenzio d’un Amore cieco
che oltre i miei sogni non sarà che inulto - e vano -
e che pur ha un non so che di sublime inattesa.
Ma tra voi, oh nebbie, le lontane cime or stanno immerse, e il
mio sogno è Notte; ed è il regno dell’occulto senso. E...
e a voi renderò un culto,
tenebre eterne. E è un fatàl rituäle,
il mio cuor che si fonde a un maëstrale. E piango!
Notti perenni! Mi avete inghiottito, oh voi,
la mia sognata rosa dell’estate,
dove il dolore non è che infinito, eterno! E...
e alla vostra e alba Luna, e alle dorate sue forme, e alle
prime nebbie d’autunno, a me è il patire,
e so che voi così vi rallegrate, oh insane!
Ma perché tarda questa rosa a venire a me?
Non bramo tanto: sognare e dormire. E il Cielo tace. |
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