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♦ Graziano Ferrero | |
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Maggio 2025 |
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Satira
Le 2559 poesie pubblicate sull'argomento 'Satira' Poesie di satira |
Ho scelto me
quell’altro non mi importa.
Questa è la strada mia
e mai nessun me la porta via
anche se arriva e scoppia l’uragano
resto con me nel pugno della mano!
Ho scelto me
e tutto il resto è noto.
Capire fino in fondo è una scommessa
in
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C’è un pianto in primo piano
con lacrime a sfacelo
a strangosciare il cielo
così convulsamente in copertina
che il sole non ha pace la mattina
e in questa celestiale azzurrità
la vita non alberga giù in città
e tra la gente sorda
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E s’alza il vento in questo artato cielo
e lancia un uragano di vagiti
soffiando a destra e a manca e pure a lato
col grido animalesco da sentina
sicuro del suo essere in vetrina
nel nuovo mondo appena accatastato
coi canti senza senso
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Robetta per piacere a un canterello
giusto per dire oppure per strafare
coi pesci vivi o morti in fondo al mare
col verso fatto a pezzi... che macello!
Robetta con due cori per puntello
lungo la strada nota da imbiancare
con tutta la doppiezza per
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E te la servo come s’usa in chiesa
col prete sull’altare a dire messa
mentre tu mandi al rogo la premessa
volendo caricarmi spesa e impresa.
E la ritrovo squallida e scondita
sul banco della fiera impacchettata
e dato che coltivi la vulgata
la
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Falco o civetta
ascolta e dammi retta
son due rapaci
chi tuono chi saetta
per cui se piaci
è solo un’operetta.
Artigli o becco
il mondo è un vecchio stecco
speciosa folla
dal tono in tutto secco
pur con la colla
nemmeno un volo
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Satira per dire satira per fare
in questi giorni aperti al divenire
con quella forza antica muscolare
che abbraccia tutto il mondo col suo ardire
mentre la vita corre a farsi male
su questa terra stolta e inaridita
che gioca a guardia e ladri sul
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Sensazione caldo intenso
quando ci opprime l’immenso
mix umidita’ e calore
piovono lente tra le ore
E’ tormento il tuo respiro
non si può cercarlo altrove
il vento ha perso il giro
è andato non si sa dove
Accendi un ventilatore
solo più
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Il tempo non ha tempo e l’orologio
si attarda a fustigare il tuo passato
e scrive sulla sabbia il necrologio
dell’oggi che domani avrai scordato.
Futuro e non futuro il mai afferrato
si piega alle tagliole del tiranno
e non sapendo come e cosa hai
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Portami dove il tempo non ha tempo
per mettersi a giocare con gli inganni
con le malinconie ottuse e mute
nel grido della rabbia contenute
in questo modo assurdo di volare
dove che il cielo limpido scompare.
Portami dove il cuore non ha cuore
e
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E canta notte e giorno il suo dolore
manifestando al buio momenti avari
fornito di lamenti e lagni amari
come si addice a un cuore e al suo colore
che rosso più del vino e dell’ardore
sa raccontare a ufo i tempi cari
al netto dei bisogni e dei
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Su di un fianco ancora a letto già mi chiedo ad occhi chiusi:
“Mi rigiro, o salto in piedi?
dormo ancora, dannazione, o mi stiracchio?
m’abbandono a bocca floscia sul cuscino,
od in giro a far bordello mi scateno...
chi mi dice allor che
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Che noia quel ciancicare da scienziato
col verso sincopato all’occorrenza
sorretto e pilotato all’incombenza
di dare lustro al tempo allampanato.
Che noia con quell’estremo pilotato
dal pianto greco vera pestilenza
tra l’essere e il non essere
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Sto lì seduto ai piedi di un tramonto
e il sole cieco e muto è andato via
ormai perduto nella vecchia scia
e linguacciuto non mi torna il conto.
Un po’ stordito chiedo il rendiconto
e risentito dall’allotropia
non smuovo un dito e senza
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Tempo a mente immateriale
giusto al dente e naturale
ti diverti a controllare le distanze
mentre il gatto graffia a sangue la tua faccia
con il sole che già stanco di poltrire
se ne scende infingardito in fondo al mare
tra sirene ninfe e impavidi
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Discettando sul lindore del tuo verso
nei meandri della rima mi son perso
e ho cercato in ogni modo di evadère
per donarti in lungo e in largo il mio piacere.
Discettando sui vizietti allegramente
mi son messo a strimpellare il dio indolente
che
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Non so bene se tu sei repubblicana
Italia elette sponde e valli opime
baciata ai quattro lati dalle rime
oppure vai e vieni e sei romana.
Non so bene se sei nata partigiana
se il trucco si è disciolto sulle cime
col mare che t’ha fatto da
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Strada facendo ti ho seguito invano
(lustrissimo compagno di ventura)
porgendoti più volte cuore e mano
ma tu cercavi altrove la pastura
nel solco del passato e la coltura
spuntava sempre uguale... un’illusione
limata dalla tua cesellatura
che
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A crescere c’è tempo e mai abbastanza!
Il seme sboccia e palpita di vita
la terra se lo coccola nel seno
e il filo d’erba s’agita e si impianta
con tutta la sua forza e ti millanta
col coro dei fratelli un inno audace
e si avviluppa ardente e senza
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Il lavorare è puro servilismo
fortifica perciò l’egocentrismo
si adopera nel particolarismo
interiormente è nudo feticismo.
Il lavorare alletta il pessimismo
del cuore e delle mani trasformismo
la mente lo ricusa puntinismo
un nobile e scontato
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Mi piaciarria tracciare il dio proibito
col filo suo di lana articolato
così l’enjambement è consegnato
al verso successivo e al dolce invito
dei sensi stesi all’aria e a menadito
mi metterei a sondare l’altro lato
di fronte al tuo destino
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Vuoto dentro pieno fuori
tra anaglifici sapori
dolci amari assai salati
dalla rima coltivati
sopra il foglio e nella mente
con la strofa appariscente
con i muri e gli spergiuri
dello schema dei canguri.
A con B la B con A
non sapendo dove
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Modestamente non mi sembra un brando!
Ti metto a letto il pupo e te lo stendo
e dato che al tramonto allegro brindo
presento al lato opposto intanto il mondo.
Potrei scriverti in breve un carme oriundo
senza patemi preso dal rimando
del nuovo
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Sono e non sono sembro e ti divento
il fiato grosso in alto del tormento
e dato che mi accoppio con il vento
ti innalzo un finto e falso monumento.
Sono o ti sembro oppure faccio parte
del vivere per caso: io sono l’arte
e tu che avanti e indietro
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Non sai non vuoi non puoi
accendere un lumino con un lampo
e credimi la vita non ha scampo
se avanti al carro non ci metti i buoi.
Non puoi non sai non vuoi
se alle parole non dai spazio al campo
dicendo ai quattro venti “Io sì mi avvampo”
mentre
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E da quel kaos venne fuori Adamo
che nudo nel peccato accanto ad Eva
abbandonò la splendida delizia
del volo eterno dentro il suo creato
nel segno dal Signore programmato.
E dopo il kaos giusta ricompensa
la corsa tra gli affanni e la distanza
si
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Acqua passata
sotto i ponti e tra le gambe
nel silenzio tuo arrivista
cose vecchie cose strambe
con al centro il citarista
che si atteggia canta e suona e fa il gradasso
e per questo col suo andare me la spasso.
Acqua marcia
con il vento in
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E maschera tu sei dono e mistero
su questa terra madre derelitta
coi passi contemplati da Giuditta
che ti rovina il volto e che sia vero
lo dice il libro sacro al mondo intero.
E maschera sarai falsata e abbitta
da quella forza viva mai
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 | Tu soltanto, se vuoi puoi disperder
quel ribaldo ch’è sempre tra i piedi,
ora basta ti prego, procedi.
Ripugnanza convinta mi desta
quando appare e repente lo schivo,
e se pur mi si presti gentile
io per nulla gli mostro riguardi
Or che a te
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 | Appese ar sole
su la ringhiera,
una è de Iole,
l’artra de Vera.
Dice gioiosa
quella de Vera:
“noi, cor moroso
se va ‘n riviera”.
L’artra je dice
co’ basso tono:
“tu sei felice
io nun lo sono,
esce co’ lui
d’amore invasa
ragion per cui
me
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2559 poesie pubblicate sull'argomento Satira.
In questa pagina dal n° 31 al n° 60.
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