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        |  | Tu dici che la morte odora di bianco
 venticello, brezza
 d'autunno che fugge
 l'ira dell'estate
 per i tuoi capelli di pietra.
 Forse hai ragione,
 forse tu sei una cava di marmo
 o forse soltanto l'idea
 di un quadro dipinto di nero,
 come la vita che sento
 ronzarmi d'intorno
 in tante maniere: ali di fuoco,
 montagne di corpi che non vivono
 da un tempo remoto,
 o forse io penso l'ignoto
 che non vedo, non sento,
 ma non vuole morire.
 No, la morte non odora
 di bianco venticello, ma di gialli lumini di cera,
 di lampade ad olio, di fumo, petrolio.
 La vedo, aspetta in silenzio la noia
 dell'uomo, l'amarezza del cavallo
 e la paura del cane che non abbaia più.
 A volte mi chiedo se è vero che esiste
 e la cerco nei boschi,
 nei fiumi, nei mari, nell'orto
 che mi dà la lattuga,
 nei campi di calcio, nei laghi
 d'asfalto
 che è sempre più triste, più rosso,
 turchino, marrone
 come un quadro di Giorgione,
 o forse di un altro che non ha mai dipinto
 se non alberi incappucciati, libri d'acciaio
 che fonde nel cerchio
 primaio della Geenna.
 L'odore di zolfo si spande nell'aria
 salata che stenta a volare,
 ma... attratta, sempre più ubbidisce alla legge
 gravitazionale.
 La morte odora di cera
 bruciata
 negli immensi cimiteri
 brulicanti di morti e di vermi
 sempre più grossi, nelle chiese
 sempre più vuote di gente
 in cerca della valle di Giosafat;
 ecco, si sente l'angelica
 tromba, che tuona nel cielo,
 è giunta la fine della gelida morte.
 E oggi m'appari
 come un pallido spettro.
 Ti vedo il pallor della morte nel bianco
 degli occhi e nella pupilla
 che fissa il mistero.
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        | Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore. La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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