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Il tuono ruggiva
sempre più vicino.
Io ricucivo l'orlo dei giorni
che il tempo ci strappava
e nel buio mordevo rabbia e sale.
Aprile s'era tinto di novembre,
gli steli percossi
piegavano le braccia e il capo
sotto la pioggia.
La vita aveva ancora gambe e mani,
era una casa
con le persiane rosse
era acqua di cristallo
ed era progetti e mare
e occhi luccicanti.
Un abbraccio,
senza sapere che numero avrà.
Poi ti vedo
spoglia d'ogni fiamma
sorpresa,
quasi offesa
d'esser stata colta d'improvviso
i sopraccigli appena sollevati
nella domanda ch'è pure mia.
Infine la tempesta è arrivata,
e mi spezza
il ruggire di questo tuono
e mi piega
non sapere dove sei,
ché qui non vedo che un corpo inerte
la tua mano ormai arresa
al gelo di questa primavera.
La beffa d'un sole
finalmente vestito a nuovo
mi schiaffeggia
e non scalda il cuore
pensarti ora libera.
Sei andata troppo lontano
mamma,
seppure sento ancora le tue braccia
e la tua voce sogno ancora
come in questa notte,
che mi siedi accanto.
Già nel cielo
cinguetta l'alba
che mi porta un nuovo giorno,
ancora un altro senza te. | 
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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