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♦ giovanni bianchi | |
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Come un dolce e seren e ripetuto
trillar ansioso e inquieto d’un pianforte,
e come ‘l canto d’un storno o d’un liuto
che d’in tra’i rami scende e a queste porte,
e come quieta bagatella e un muto
tetro e cupo silenzio, in questa Sorte
mi batte ‘l core che giace perduto
in la minore ch’è Vita oppur Morte.
Or n’odo appassionato quest’avorio -
coda d’un fa e d’un do - e ‘l seguente andante,
poco mosso siccome un amatorio
pianto alle guance d’un sogno danzante,
e sento andar febbrilmente ed ustorio
un bel fugato che spazia ansimante;
e come un adamante
mi brilla ascoso in un mellifluo ardore
che nemmen so io se sia quiete, o sia Amore!
Dolci risonano
le note, e alcune
al pentagramma
in requie danzano
come le Lune
di sfera in fiamma,
altre son rapide
come i singulti
muti e funesti
d’un cor che spasima
presso gl’inulti
incubi mesti,
come ‘l terribile
Destin che torna:
chiede ‘l martiro,
l’ischerno, l’anima,
di beffe adorna
ogni sospiro,
come un immobile
Genio di guerra
che chiede ‘l sangue
a quest’incognita
bugiarda terra,
a lui che langue.
L’avorio lagnasi
a sé m’avvince.
Illuso istrione
dal Fato orribile,
dente di lince
fredda canzone.
È questo un incubo,
pensai finito,
il sentìa morto
come la musica,
credei fuggito.
Ecco! è risorto!
Vane le suppliche,
le preci indarne!
Al limitare
d’un soglio angelico,
in spirto e carne
presso l’altare,
come se ‘l Dèmone
si finga Iddio -
eterno inganno -
come un diabolico
strozzato addio
colmo di danno,
qual se cherùbica
sia Provvidenza!
Forse ne fia,
forse è quest’Erebo,
cieca demenza
che vola via;
e queste musiche
gridanmi al core
vane parole
d’un Ciel che straziami;
e m’è l’Amore
morente Sole.
Piagne e allegra e serena questa corda
come ‘l fa diesis d’un cor che rinnega
se istesso e l’orbe inquieta, e vola e assorda
l’unite man d’un martire che prega,
e queste note pie che vanno in orda
a rammentar che al Destin ci si piega
gridano in furia; ed un cor si ricorda
che Iddio la Pace e ‘l bacio ognor gli nega.
Allor m’è insano e folle ‘l la minore,
e scapigliato dal sogno mi desto,
e l’Infinito ripete ‘l dolore
del qual crudele e ansioso sempre vesto,
e l’Eliconia istessa quieta muore
sul core mio tombal, sconfitto e mesto.
Oh vivere funesto!
Dimenticate orsù l’adulterino,
vittima impura d’un brutal Destino! | 
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