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Li ho colti due fiori, sembravano di vetro
erano nel cuore di gesso ramato
e li ho custoditi tutto il tempo del dolore.
Recisi, abbandonati nel vaso sul tavolo di casa,
guardano lune e soli che si alternano all’orizzonte.
Il profumo di ciclamini ora non sento,
nè le camelie bagnate di rugiada al mattino.
Sono spoglie le mie mani di quei fiori
e guardano gli occhi rapiti un altro momento
che l’alba di respiro dolce non conosce ancora.
Sarai ancora tu miele dolce fra le mie braccia?
Il vento impetuoso nasconde mani di carezze e sorrisi
ieri concessi al dolore che oggi sconquassa
case e vicoli di anima perduti nel grigio delle parole.
Distante vivi dal mio opale evanescente di memoria
perché forse non ti ho mai avuto veramente
durante la lunga stagione delle piogge.
Bagna ancora il mio viso la rugiada dei giorni bui
e cerco nelle tue mani quei coralli sparuti
vivi d’orgoglio e di miseria raccontata al cielo
e mai risolta nei lividi pallidi della mia memoria.
Nessuno farà più del male a queste braccia
che hanno trasportato fiele nelle ceste di ortica
e nessuno oserà mangiare il grano oggi coperto di gramigna.
L’anima impedirà al mondo di cibarsi dello scoglio
e niente scalfirà il volto amato, indurito dalle pietre.
Muro possente di argilla e cocci di vetro aguzzo
difenderanno questo regno sacro che non accetta
mai più di essere accarezzato e poi vilmente venduto. | 
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