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Ho brandito la mia spada
per combattere l'oppressore,
con cieco furore e crudeltà,
infilando la lama nelle casse toraciche
fino a sentirne l'ultimo spasimo
e il rantolo che concede l'anima al cielo,
e ho affondato gli speroni nei fianchi del mio destriero
perché prendesse a scalciare
spaccando il cranio al nemico;
ho odiato con ferocia e ucciso senza remissione,
finanche ad inseguire il fante inerme
e sfasciarne la schiena con la mazza chiodata.
Ho conosciuto il fascino della vittoria
e celebrato la mia gloria
mescolando il sangue del massacro
con il vino della festa.
Ma ora dimmi, mio re, chi sono io,
cos'è l'onore e cos'è il valore.
Se la tua autorità è valida di fronte a Dio
quando mi comandi di ammazzare,
dimmi se sono eroe o assassino o se hai solo
usato il mio coraggio e la mia spada
per aumentare il tuo dominio e il potere.
Per le strade si odono grida e lamenti,
il vecchio padre piange il figlio perduto,
le madri si graffiano le gote e non hanno requie,
veste di nero la donna col bimbo al seno,
gli orfani sono abbandonati nella via
e non ci sono più braccia per dissodare il campo.
Io galoppo nella foresta per non vedere...
Ora dimmi, o re, se le mie colpe avranno perdono,
dimmi dove posso fuggire per non sentire
lo stridore della battaglia e le urla forsennate
degli uccisi, se anche in sogno mi inseguono
e mi afferrano le gambe per tirarmi nella fossa.
Dammi il riposo, re, dispensami, e rendi
una giustificazione alla mia coscienza. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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