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        | Venne la Notte, e tremula la Lunabrillò tra’i nuvoli fiochi, e le nevi
 al guardo mio n’andâr vêr la laguna,
 
 e un mar di sogni si pinse, e i sollievi
 dell’ansio cor si svanirono, e mesto
 io giacqui afflitto; e tu, o fanciulla, ardevi,
 
 e a te pensando, del tempo ‘l funesto
 scorrer vivevo, e tanto lagnai e piansi
 che ancor di lagrime forse mi vesto.
 
 Fu allor che ‘l tacito del cor che io infransi
 vago desiro m’ispirò l’Amore,
 e per te, o ignota, mi fremevan gli ansi
 
 e mesti palpiti del miser core;
 e mentre tu nel sonno ti posavi
 ebbra di Vita, mi colse ‘l dolore.
 
 Miseria umana! Oh Destino! Tu amavi,
 ed io vêr te mi portavo un desiro,
 e tu in recondito m’illuminavi;
 
 e non ti colse nemmanco un sospiro
 dal labbro ascosto col qual ti parlavo,
 la ‘ve le siepi d’Amor fûr martiro,
 
 ed io n’andavo - illagrimato schiavo -
 anco a prostrarmiti supin dinnante,
 e nella Notte riavvolto ti baciavo,
 
 e tu, o dormiente, sì poscia al danzante
 e fugace attimo dormivi lieta,
 e non sapevi ch’io ti fossi amante...
 
 anzi, sprezzavi l’adulterin meta
 che forse ignara in sul cor mi leggesti.
 Eppur tu fosti l’Amor d’un Poëta!
 
 Allor dolevami ‘l spirto, e agli agresti
 venti del verno volgevo ‘l mio frale,
 dove fûr Morte e pensieri funesti;
 
 e ‘l tuo bel sonno ridente e immortale
 tosto coprivami ‘l duolo del cor,
 e del desio ‘l represso temporale,
 
 finché nostalgico e insonne un pio fior
 d’alba novella machiòmmi l’Amor.
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