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Nel vuoto svolgo nastri,
vecchi inventari spolvero, archiviati,
ma nella anima mïa nulla manca:
i campi, i canti, i miei teneri inciampi,
mille sterpi e la stanca,
gli altari, gli astri, i salari, i disastri,
poi vento, neve, il mio vecchio che arranca,
i muti tetti e i tratturi svuotati.
Come croci, i ricordi, incolonnati
stan tutti lì, piantati in antri ardenti,
alte steli e fulgenti
a rammentarmi e miglia e lampi e fiati.
Sulla pelle spalmati
radicati nel petto, come stelle
che bucano biancori,
gagliardi fiori sui cigli ghiacciati.
Pagano i pochi per peccati plurimi
i cui postumi pesano su ignari,
ingenui, prede di duri, di oscuri
burattinai, contabili che ilàri
il dolore dei deboli non toccano
in diseguale crescita e farlocca:
pagano i pochi passaggi imperfetti;
periferïe urbane, senza storia,
guadagnano la gloria
i palpiti strappando ai prodi tetti.
Morto è quel cielo aulente,
il mondo è morto, è dei rovi ora il prato.
La domanda è dolente:
"Chi l’ha pagato il progresso agognato?" | 

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