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Povera cigna! Giovane
nei tuoi alti spasimi
in un lago su un monte
vai, e ti lamenti
col canto che urla il funebre
istante, il gemere,
nell’immenso orizzonte,
tetro di venti.
Oh miserabile,
tu, oh creätura,
tu, Poësia,
ascolta i gemiti
della Natura,
della mia via!
Vai, e t’allontani in attimi
che si disperdono,
e un’ora seppellisce
la tua ombra scialba,
che un dì io vidi defùngere
presso il turìbolo
d’un Cielo che languisce,
Notte, mai è l’alba.
Vai, e ora il tuo affliggere
copre le cime
di tanta Morte,
oltre i miei palpiti,
nel fior sublime
dell’empia Sorte.
Misera cigna! Timido
strale dell’etere
fuggi via, e non sei nulla,
una chimera,
ombra spettrale ai valichi
che ora ti irridono,
mia perduta fanciulla,
tu, Primavera,
che nel più lugubre
silenzio altèro
piangi le rose
di questi cantici,
e nel ciel nero
le tempestose
nubi che si disfidano
scorgi, ineffabile
soffio, àlito d’Iddio,
superna Idea,
Poësia che nei gemiti
trascorri i termini
del cuor che scrive, il mio,
rosea ninfea.
Oh cigna flebile,
nel cielo ustorio
del nuovo Sole,
ti vai ad immergere
nell’aspersorio
di tombe e viole!
Addio! T’han preso i turbini,
l’inesorabile
Mostro del Tempo, e muori,
e nel ricordo
di te m’è duol l’immagine
lontana e immobile,
il sepolcro tuo e i fiori,
e il cuor m’è sordo!
Perché ancor tacito
sei Tu, oh Signore?
Perché? Orsù, dillo!...
Io sono languido,
voglio l’Amore,
l’arpa d’un grillo!
Addio, oh mia cigna povera,
che i Tempi fuggono,
addio, giovane volto,
ala di talco!
Addio, tu sguardo attonito
d’angoscia e pallido!
Addio, viso che tolto
m’ha un tristo falco!
Non è che il piangere
che mi rimane
sul mio cammino:
sempre m’inghiottono
le fauci insane
d’un vil Destino! | 
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