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Io non son altro che un Sogno che contro
queste Notti e quest'àttimi irrequieti,
e questi volti divertiti, e queste labbra
che bàciano l'Incògnito del vento,
e queste feste, io mascherando il volto,
e gemendo io nel cuor, e sospirando,
volgo una màschera; e io a quest'altre màschere -
io! - irrompo, larve di pizzo e di seta
di insonni vespri e d'insonnia nel sonno,
mentre il pòpolo grida e si diverte,
ove confuso v'è il cavalièr prode
co' anònimo plebèo, e la nòbil dama
con una meretrìce, e il folle ràpsodo
con un cantòr di frasche da taverna,
donde muor la nobiltà, e la Poësia.
E attendendo io la rìgida Quarèsima,
e io sapendo che Sogno, e Gioia e Beltà,
e Gioventù non son che larve orrìbili, e
qui io sempre mascherato col vèl nèr
di questi Sogni, penso: m'è ora caro
disillùdere l'altrui brindàr, questi
divertimenti effìmeri e perduti;
e or la mia màschera è il dolòr, il ghigno
di questa Vita che le gioie trucìda
finché il cuor non avrà in questi suoi pàlpiti
più màschere da indossare in un Tempo
che è preludio di Morte.  | 
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