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            | Giuseppe FulcoLe 71 poesie di Giuseppe Fulco |  
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        | Mia giovine e graziosa anima dai boccoli di seta e cotone,
 dei miei sogni ne annaffi la cima
 col corpo vellutato dal sapone.
 
 L’ odor della tua pelle irrora
 le secche pianure della collina
 che piange sola e ad ogni ora
 senza il tuo permesso, oh
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        | Oh, grigio e monotono giorno sleale che t’ insinui senza voce né passo,
 il tuo silenzio m’è grave e letale
 e vibra sul glicine come corde d’un contrabbasso.
 
 Di questo caffè dal solito aroma
 che l’acquavite infiamma e odora,
 ne oscuri la facile
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        | La tua carezza è un lume che il buio decora: esile la tua mano smuove il pantano
 e dinanzi a tal dolcezza la mia implora
 di librarsi dal marciume in cui giace invano.
 
 Sotto un ciel senza ombra né sapor notturno
 hai cosparso l’affetto che non
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        | Ogni verso che nasce invoca un canto senza censura austero o melanconico che importa!
 Purché suggerisca al silenzio della lettura
 una musica al cuor che poco urta.
 
 Dagli abissi o dai cieli in cui vaga impudico
 a convertir si diverte l’altrui
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        | Un barlume si posa sul pizzo intrecciato, un bacio languido e trema il tedio.
 Incoraggia l’animo mio
 col più vezzoso abito del creato.
 
 Giunge col cuor infranto e d’ incanto
 ritrae la gonna per mostrare i migliori anni,
 con aromi velati che bagnano
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        | Celato, riposa negli angoli bruni come un gatto sazio e si confonde tra le dune sabbiose d’ un ricordo arido.
 A volte se ne scorge la coda, a volte sol lo strazio
 per esser tutto fuorché impavido.
 
 A volte emana cattivi odori, direi riluttanti!
 Come
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        | “Da quanto non ti lavi? Fatti un bagno nelle azzurre vette dei sogni!”
 Così mi svegliò una mattina il sole coi suoi focolai
 arricciati sulla finestra scurita dai legni.
 
 Andai quindi ad infrangere i miei tentennamenti
 lungo sentieri fangosi e cime
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        | Alla forca ti conduco con i polsi spezzati con passi zoppi, non c’ è fretta.
 Anima mia ti calpesto in quanto maledetta!
 
 Poiché, quei sorrisi nel pelo annaspanti,
 li ha bruciati nelle sue torride dimore Belzebù.
 Dove puntuali accorrono languide le
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        | Con i solchi, profondi all’albeggiar del pensiero, l’ampia fronte si distende al cielo.
 Come distese dismosse dall’aratro
 dopo aver atteso a lungo un giorno dopo l’altro.
 
 Gli occhi d’ un verde indefinito,
 stanchi di sorreggere un animo avvilito
 e
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        | Quando il ciel scarso di nubi pare, nonostante tutto, un fosco presagio,
 si insinua torbido e adagio
 un rantolo alla gola stretto da funi .
 
 Il canto procace del mattino
 stona nei ricordi assai più vivi
 di ogni raggio sugli olivi.
 Marcisce
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        | Dalla sua nuca vermigli riscendono, come grappoli d’ uva, a volte come ruscelli,
 i profumati e mai vinti capelli
 che casti sulle spalle s’ infrangono.
 
 Sebbene tra le sue lenzuola voglia perire,
 non occorre mi conceda oltre nel suo giuoco
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        | Oh Amore, tanto amato quanto odiato,
 perché non ti dissolvi
 tra le onde, sugli scogli!
 
 Riaffiora l’angelico riso,
 dal suo profilo mai reciso
 cadente come edera dalle mura
 e come il sonno, radente sulla cera.
 
 Oh donna tanto amata,
 mai
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        | Non ha odore l’anima che muore seppur evochi inni strazianti
 tali da erigere un monumento ai passanti .
 Benché scivoli su vani strapiombi incompresa e senza nome.
 
 Le allodole ne asciugano il pianto profuso,
 annidando tra i rami il canto delle
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        | Che la Speranza sia lieta, signore e signori, questo è da vedere! Si attende riaffiori
 tra le lenzuola ammainate in lutto
 sulle inferriate di un vicolo angusto.
 
 Afferra le vene al mio cuore stanco ed esausto
 soffocandolo nelle sue spire con
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        | Aura primaverile che soave irrompi tra carta stracciata e fievoli gemiti d’ inverno,
 sulla panca poni l’ancor acerbo
 tepore di cui ti inondi.
 
 Leggo tra le righe e dietro al foglio
 le musiche delle tue flotte asciutte,
 sulla panca di legno che
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        | Mi presento, laddove lo vogliate, e il vostro intelletto possa incuriosire.
 Non che voglia la noia decantare,
 in brevi righe saprò finire.
 
 Sfumando come i profili vermigli all’orizzonte
 quando le ore adultere ancheggiano nelle brezze
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        | Muoio, mi rallegro. Triste in tre ottavi le corde slego.
 I sapori di lei non son congetture!
 L’ amore? Oh! Povere e ambigue sfumature.
 
 Tace e ansima la mia dolce creatura,
 tra le cuciture suda.
 Bevo, oh... mi disseto!
 Beve l’anima mia, oh... lo
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        | Fuori dal portico inanellato di chiacchiere e ammutolito dal vento d’ una nuova sera,
 la odo nei selciati e nei campi e nei peccati
 dimenarsi come una serpe.
 
 Scivola come un anguilla tra le mani,
 l’inafferrabile ed ingrata sposa infedele.
 Oh,
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        | Mi immagino dove i fior appassiscono miseramente d’ ascoltar i segreti osceni della gente
 e in autunno, che in culla dondola la morte,
 per farmi udir non debba gridar affatto, né bisbigliar più forte.
 
 Nell’umido terreno troverò riparo tra le tele
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        | Sei tu crudele cocchiere nei viali morenti, pigri e distesi
 che sol tempo prima furon istigatori di amori lieti
 e di cui or non ne rimane neppur il mestiere .
 
 Nelle tue viscere si muore:
 muoion il sole e le aiuole in cornice .
 Come anime
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