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Massimiliano Zaino
Le 1198 poesie di Massimiliano Zaino
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«Oh sì, narratemi questo bel sogno!»
sclamò la dama stringendo l’abbraccio,
e poscia disse: «L’attendo ed io taccio
nel mar... nell’impeto d’un dolce Amor»;
ed ei ascoltandola posò lo sguardo
sovra ‘l
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Tra le bestemme del bieco necroforo
e tra le risa de’i folli gendarmi,
e tra uno stuolo d’insulti e poi d’armi,
stava un cadavere tinto di ner:
putride e negre parevan le guance,
e gonfio ‘l labbro, e gli occhi eran aperti
ed in sul collo sen
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«V’era una giovine arciduchessa,
bell’era e bionda; e un’austra regina
ne fu la madre. La pia fanciullina
un giovin musico un giorno incontrò.
Ei volse al cembalo, poi si sedette,
lei mirò estatico ‘l suo occhio d’Amor,
poscia
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 | Eran le nove d’un gelido vespero.
Il ciel d’estate anneravasi e lento
e fresco e folle lagnavasi ‘l vento,
e l’orizzonte allor s’annerì;
ed i vicini e torbidi nuvoli
gli aspri vapori nel ciel condensavano
e fiochi tòni a volte
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| Al finestrel giacevasi -
assorta vêr l’ignoto -
una madama in lagrime
che ‘l picciol labbro immoto
tergëa e d’acque e d’aliti
e d’ombre d’ansio cor,
e al davanzal lagnavasi
al ciel del vespro inerme,
e ‘l guardo figgea attonito
ai
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| Son archi e frecce che volan tra’i nuvoli,
e son pozzanghere di negra terra,
code che vibrano, e pece che erra,
e piume ed ale d’allegri pulcin,
e son le piccole stelle dell’alba,
e in ciel gareggiano, e cantano liete,
e in fin da’i nembi si
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| Rosea è l’aurora, son porpore i cieli
e sembran petali d’un ciclamino,
e l’alte immergono vette, e ‘l piccino
calle li abbraccia e spira legger,
e l’orbe pietre de’i monti e de’i culmini,
e le conifere e l’agili selve,
e i bei ruscel che
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Dolce è ‘l vagar pella campagna estiva,
ombre s’alternano e gelide arsure,
e libero etere, e pallide e pure
nubi, ed aprichi e freschi ruscel,
e van le rondini, e vanno all’incognito,
e i quieti zefiri soffiano, e i sassi
fermi s’abbronzano
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È un fior di neve, di panna e di latte,
ed è un narcotico sangue e un inchiostro,
ed è una fronda bifronte ed è un mostro,
foglie di mandorla, tepido odor,
e son di porpora l’alacri bacche,
e ‘l frutto sanguina, è
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Era di marzo un vespero,
battevan - mi par - le nove,
stavo ai giardin dolcissimi
di Vienna, e andavo dove
un delizioso frassino
coprivami d’oscur;
e allegro udivo i cantici
delle lontane feste,
scorsi volar tra’i nugoli
le rondinelle
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A mezzanotte sibila
la Luna, e ‘l ciel s’affanna,
l’empie civette assalgono
i vel color di panna
dell’orbe nubi, e spiccano
dagli alti rami ‘l vol;
e gli astri stanno ceruli
sovra le querce in sonno,
biancheggian d’oro e platino,
e dolci e
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Sotto i bei portici, sotto le tegole
scroscianti d’acque del nuvolo in doglia,
tra le pozzanghere, misera spoglia
dell’aspra folgore, tra’ i tersi fior,
e all’aure apriche, e ai gelidi turbini,
e all’invisibile bacio de’i zefiri,
e in sull’orror
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Dall’alto e inquieto pòggiolo,
presso l’altera piazza,
stretto tra l’aspra edera
sull’intarsiata tazza,
geme e si lagna candido
di giglio un mesto fior;
stringe soffrente i petali
tersi di pioggia etesia,
leva alle nubi un palpito
della
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Scrivo, e in mio cor la polvere
d’un ermo s’alza e duole
mista col sangue esanime,
orba di stelle, e suole
cogliere i biondi granuli
d’un’Iri pinta d’ôr;
e la Tempesta - insolita
Furia de’i ciel - s’aggira
come un’impronta
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Era un meriggio d’un umido maggio.
Da’i negri nuvoli pinti di fumo
e dall’ignoto e mesto miraggio
d’orbo confine il cielo gemè;
e si versavano da quest’alti apici
le pioggerelle dall’acque di miele.
Come gomitoli, seta infedele,
quest’era
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Chi sei tu, oh donna in fascino
d’un astro ignoto? Forse
un dolce sogno anonimo
che un dì seren mi morse...
un ciel di sogni frivoli
e un pungolo nel cor;
ed io ti veggo all’etere
dell’imbrunir, laddove
chiudo pensosa l’iride
che fresca
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Invia un messaggio privato a Massimiliano Zaino.
Erro pe’i boschi d’un sogno e d’un incubo
e vado, ahi misero, in cerca d’ignoto
e fiuto l’orma del sangue mio immoto,
sangue che colami dall’ansio spir;
e ‘l scorgo a fiumi varcar l’erbe apriche,
oltre le felci in siepi raccolte,
e tra le radiche
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Giunto l’inquieto vespero
dall’orizzonte immenso,
seggo in sull’alta seggiola
dal fior d’un mirto, e penso
e sogno e volgo agl’incubi
d’un tremebondo cor;
e oltre le terree tegole
e l’unte e fresche pigne,
e oltre le chete roveri
e l’alte
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Pinte di cerula pece le nuvole
e d’ombre e spettri emanano i negri
venti e gli effluvi, e muggono d’egri
pianti di spasimi gli avidi ciel;
e d’in sull’urlo de’i tòn che singhiozzano
pien della collera che li alimenta,
cade la folgore, e ‘l
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Corri, Viandante! e i rigidi
sassi del suol calpesta...
senti! gli acciar granitici
gridano ai sogni, e desta
questo ferino sibilo
l’ombre d’un turpe orror;
e Tu, suo Core, in spasimi
gl’istanti alter trascorri,
sempre in su te medesimo
e in
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Tetra la Notte è lugubre
pelle scoscese rupi,
splende la Luna ed ansima
in sul ringhiar de’i lupi,
e dalle stelle illumina
le valli e i pii ruscel;
ed i profluvi e i gelidi
venti sen vanno svelti,
e le radure gemono
sotto ‘l cantar de’i
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Brillano i petali pinti dell’indaco
del vespertino e lacero empiro,
schiudonsi e sono gl’iris, e un sospiro
di fresco zefiro li mostra al Sol;
e in sul giardin di questa primavera
le lor corolle son occhi di biondi
giojelli, e ceruli e molli e
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Viene la sera, e idillica
soffia la cheta brezza,
i sacri bronzi annunziano
i vespri santi; e spezza
l’aër del ciel equivoco
l’ombra del Sol che muor...
e ‘l campanile angelico
l’eco conduce ai boschi,
e ‘l martellar instabile
corre in
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Dorme ‘l palmizio. Un attimo
di quiete avvolge ‘l Nilo,
giace la palma immobile
e snella come un filo,
e ‘l sicomòro lagrima
e poi a dormir sen va;
e tra le foglie roride
della notturna pioggia
splende la Luna, e fievole
scorre una
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Freddo e piccolo e pallido nembo
tristo si lagna in sulla vera,
piove e affranto si mormora e annacqua
le rogge apriche pinte di cera;
grida e sanguina e s’agita come
un cor che piagne al verno che fu...
e allor quell’aër che arido
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Lenta mi culla la Notte, e quest’attimi
d’inquieta ambascia mi gelano ‘l senso,
ascolto ‘l vento che scalpita e ‘l denso
cader dell’acque, e corro a tremar;
e fuor precipita il ghiaccio, ed il turbine
dell’aër folle si mormora e freme,
ulula
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Sorge tra l’erbe la viola che strepita
sotto le fulgide nubi gentili,
e mostra i petali lieti e sottili
all’ombre in luce del piccolo Sol.
Piega su’i sassi lo stame che palpita,
e come un core dipinto di lilla
batte melliflua; ed è la sua
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Lungo ‘l meriggio inospite
del freddo verno e ombroso,
mentre ‘l crudel crepuscolo
copriva ‘l cielo ansioso,
men passeggiavo incognito
mesto nel tristo cor.
Scorsi i cipressi e l’aride
fronde gemmate a morte,
le felci e i pini immobili,
le rose
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Soffia tra’i salici un giovin ciliegio
ch’allieta un rivo e un’alta pagoda
e al ciel e ai nuvoli molle s’annoda,
bianco di stami e carco di fior.
Scende da’i monti un alito gelido
di niveo vento che i rami gli abbraccia,
e i bianchi fiori si
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Versa dal ciel la nuvola che s’agita
la glauca pioggia sull’arida sponda,
e van le folgori pell’aura immonda,
e grida ‘l truce e portente Visnù.
Quest’acqua odora d’incenso e di sandalo,
mellifluo è ‘l balsamo dell’Odalisca,
e ‘l
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1198 poesie trovate. In questa pagina dal n° 751 al n° 780.
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