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Massimiliano Zaino
Le 1198 poesie di Massimiliano Zaino
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Era dolce qual fiamma nel core,
era bella qual spirto d’Empiro.
Per lei sola tempravo’l desiro,
una fiamma parlante d’Amor.
Fu indarno! La speme nel petto
rifuggiva da morbida voglia,
fu soltanto la pallida doglia
il sembiante d’un santo voler.
Or
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Fosse solo un raggio di Sole,
forse luce d’un tepido nembo,
fosse l’alma che cade al pio grembo
d’un rinato più dolce sospir,
non sarebbe che sogno fugace,
forse grido d’un altro dolore.
Nella Vita cos’è quest’Amore
se non doglia o
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Era Notte. La Luna piangeva.
Spremea pioggia la gelida nube.
Era orrore!... Gran lampi qual tube
parco tòno furiosi sonâr.
Serrai’l ciglio nel morbido sonno
colla prece più cara al Signore.
Ma pregando m’empì di
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Te lodiamo, Signor d’Israëllo,
Te preghiamo, Signore di Sionne,
questi incensi ti portan le donne,
quest’offerte sui nobili altar.
Te lodiamo, Speranza de’ vivi,
Te preghiamo, Giustizia de’ morti,
come Cristo saranno risorti
i bei spirti che
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Scendeva la Notte. Gridava la selva.
Splendeva la Luna qual cupida belva.
Il canto trillava del docile grillo.
S’alzava un latrato, terribile squillo.
Scrutavo perduto nel gelido cor.
Il manto del cielo copriva le stelle,
il sonno cullava di vergini
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Dal morbido Cielo che l’eco propone
all’osse spezzate d’eterno dormir,
dal popolo antico che Cristo depone
a tenebre brute di lungo morir
i bronzi ferali che cantan la Morte
ricopron le terre di cieco furor,
i mari che spezzan la debole Sorte
ai
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Siam morti di fame, pezzenti co’ stracci,
serviamo’l balivo d’impavido re.
Le piaghe all’ischiene, sul collo gran lacci,
il feudo baciamo che servi ci fè.
Siam preti… siam dotti, pensieri d’Atene,
i nostri doveri danaro rubò.
Siam
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Tra le fronde ignude de’ pioppi dormienti,
tra i rami seccati che cadono a terra,
tra le gemme cieche de’ frutti morenti,
tra i venti furiosi che fanno la guerra,
quando fiera giunge la Notte ferina
e grida’l tramonto sul soffio di nubi,
quando
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Quai Divi d’Olimpo, quai prodi di Roma
marciamo feroci sul freddo sentier.
Piumaggi fulgenti su rigida chioma
ravvivan fatali i nostri guerrier.
Le sciabole al fianco, le nobili bombe
ricangian le sorti del bieco pugnar.
Le schiere nemiche son croci
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Un tempo viveva vegliardo cipresso,
cent’anni di Vita solingo menò.
Su ripa lontana piegava malmesso
il fusto tremante che secco spirò.
Un giorno passava fuggente fanciulla
dal peplo strappato, dal caduco ciel.
La piaga sul seno, la
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Dal legno vegliardo del dolce strumento,
dai fogli invecchiati del Genio che fu
al cielo che piove che tempra tormento
all'acque che triste s'infrangon quaggiù
m'assale lo spettro del misero amante
tra'l sangue e'l dolore che tosto
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Su barbaro colle, su polve spettrale,
su rocce remote che'l clivo coprîr,
tra l'alte betulle d'aspetto ferale,
tra i murmuri bruti che al cielo salîr
discende gemente Valchiria funesta
che grida... che piange rapita d'Amor.
Qual
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Sono il tuo Destino, spettro di Poeta,
e sulle tue pene con grazia brindo.
Mescimi'l sangue tuo che ora m'allieta
come già m'allietò; ed io sarò più ebbro
del tuo aspro dolore e tu sarai ubriaco
di tutta la mia gioja.
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Non oso alzar il guardo che piange
povero d'ogni speme; non oso
mirar negli occhi di lei che m'ange
quale mostro crudele e morboso;
non oso dirle cos'ho nel core
che batte per lei; non oso aprire
il segreto a costei dell'Amore,
parlar gaudio
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Un raggio di Sole che muore,
un foco di lampo che rugge
la Vita tremenda che fugge
rimembra repente. Dolore,
Amore, Furore del Ciel.
L'istante del pianto si mostra,
si prostra la spera che sale,
che scende repente qual giostra
al core ricolmo di
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Dormi, dormi
Luna bella,
dolce stella
sul mio cor.
Sperdi, sperdi
la tua pace,
quieta face
sull'Amor.
Oh se m'ami
t'amo anch'io;
se mi chiami
sono qua.
Luna bella,
addio, addio;
quest'Amore
non sarà.
Bacia, bacia
la
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Ahimè, abbandonata! Sola sul colle
che bolle d'Amor! Non posso che odiare
il roseo tramonto, nota bemolle
più folle d'un fior; perché è l'amare
molesto racconto che poi l'imbelle
desiro, o dolor, tradisce alle
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Son Maestro del compasso,
ai Misteri or mi dò;
tra altari me la spasso,
ôr da ferro sempre vò.
Re del Tempio, il Masson!
Ai Tempieri più arditi
reco già qualche onor;
e i Misteri più avìti
porto
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Ah! Lei più non sussurra
al cor le spemi avìte,
non è più tinta azzurra
la tinta d'alto ciel.
Ah! Luna più non splendi
al piè del fresco vespro;
perché... perché non fendi
ancor quel bianco
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Fendi la nebbia, Luna!
Ch'io mesto ti rivegga,
o Notte mia... o bruna,
nel palpito d'Amor.
Sperdi le fosche, Stella!
Ch'io folle ti proclami.
Sei tu dolce, sei bella
nel soffio del desir.
Sogno nel sonno, o somma
signora del mistero.
Sogno
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Dall'urla, dai pianti, dai duoli sommessi,
da Notte precoce scompigli volâr.
Su' volti di donna quai fiori dimessi,
le Supplici ligie i gomiti alzâr.
Dal cielo d'eclisse la morte ventura
pell'aër di Grecia sonare
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Nell'ermo del core, sul lido d'un lago
volgeva il cantore una fola a cantar.
Sclamava gemendo l'Amore mai pago
che tanto per anni lo fece penar.
Gustando le doglie qual coppa di vino
i lassi membrava d'antica passion;
seduto su ripa, col capo
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Da pianto, da pena, da duolo, da strazio
a volto ridente per cieco sognar,
da core, da mente, da labbro mai sazio
a guance bagnate da bruto penar
qual strale di Sole strappato dal vento,
qual rosa che muore sul fior dell'età
l'Amore
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Vi piaccia, Divini, concento di festa,
i servi di Giove l'ambrosia versâr,
quel vino che dolce frequente la testa
ne' folli torpori si volge a girar.
Brindiamo contenti, siam Numi felici,
eguali di Giove che l'orbe plasmò.
Dai Greci,
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Superna nel Cielo, lodata nel Tempio
beata nella prece dell'egro pregar,
pel misero affranto, pel folle, pell'empio,
o Vergine Madre, ravviva l'altar.
Del Figlio dell'Uomo, del raggio di Nume
del frutto preclaro d'un dolce mister
portasti
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Dall'occaso folle che nutre la guerra
agli ermi selvaggi dell'arabo suol,
dai mari di neve di nordica terra
al nero sembiante che lagrima duol
crudele felino divora la preda
con ventre pesante, coperto dall'ôr;
la fame lo prende, timore
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Dalle ioniche arene, ai lidi d'Atene
dal Sole còcente bagnato dal mar,
dall'orde di Sparta, all'egizie catene
dai marmi de' Numi temprati da altar
qual ninfa che liba sull'elmo de' forti
si desta la forma del santo saper.
Dal canto di
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Un trillo!... Un accordo!... Ancora un trillo!
Un singulto!... Un fremito, una voce!
Sibila... sibila, arpa!... Canta, grillo!...
Risibila, fischio d'Aedo... precoce,
giovine e vergine nel grido d'Amor.
Fu il vento a sonar? Forse fu. Fu
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Immensa la Notte grida alle Furie,
possente nel silenzio del riposo
ove il frutto del docile ciliegio
l'accento non volge più del sapore
ai fiori e alle querce di questa valle,
né sa né naturali cangiamenti
divenir amarena,
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Come risplendi in cielo, ustoria Luna,
dormiente sul lenzuolo delle stelle,
tepidamente accesa in Notte bruna,
con ambra calante sulla tua pelle.
Come ti desti ai richiami de' nembi
quando l'iri e l'aurore son lontane,
quando
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1198 poesie trovate. In questa pagina dal n° 931 al n° 960.
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